Ingiusta detenzione le due facce della stessa (in) Giustizia

di Avv. Michele Bromuri

Stampa la pagina
foto

Secondo l’ultima relazione sulla applicazione delle misure cautelari personali elaborata dal Ministero della Giustizia, dal 1992 ad oggi sono oltre 26.000, quasi 1000 all'anno, le persone che hanno subito una illegittima restrizione della propria libertà personale, prima di essere assolti con sentenza passata in giudicato.

Numeri pesanti, citati dalla Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, intervenuta a Padova dinanzi agli avvocati dell’Unione Camere Penali.

È la prima volta che una così alta carica sceglie di denunciare platealmente l’esistenza di troppe “donne e uomini illegittimamente privati della propria libertà e la cui vita affettiva, sociale e lavorativa è stata fortemente pregiudicata”, troppi innocenti “danneggiati da una cattiva amministrazione della giustizia”, spesso “compromessi dalle conseguenze mediatiche di una misura cautelare o di una sentenza di condanna infondate sotto il profilo giuridico ma comunque sufficienti a radicare nella collettività un inestirpabile sentimento di condanna sociale”.

Grave, secondo la Presidente, che queste tragedie umane non vengano affatto citate nelle varie relazioni dei magistrati durante le inaugurazioni degli anni giudiziari. Con rare eccezioni: Massimo Terzi, Presidente del Tribunale di Torino, direttamente richiamato dalla stessa Casellati, si è definito “scandalizzato” dal numero di innocenti inghiottiti dal tritacarne giudiziario, “un sistema non conforme ai principi di democrazia”.

Otello Lupacchini, Procuratore Generale di Catanzaro, ha dedicato ben dodici pagine delle sedici del suo intervento al tema delle ingiuste detenzioni, ricordando il triste primato della Corte di Appello di Catanzaro, come il Distretto, oramai da ben sei anni, con il maggior numero di casi.

Nella valutazione delle cause il Procuratore individua in modo netto “l’acritico appiattimento del giudicante sulle richieste non adeguatamente ponderate del requirente, in una inquietante corto-circuitazione in palese violazione sia della terzietà del giudice sia della parità delle armi tra accusa e difesa”.

Uniche voci nel deserto solo se si pensa che il Dr. Piercamillo Davigo, ora al CSM, contestualmente dichiara alla stampa: “in Italia in galera ci vanno in pochi e ci stanno poco”.

Ed aggiunge, dinanzi alla legittima obiezione dei tanti risarcimenti per ingiusta detenzione: “in buona parte non si tratta di innocenti, ma di colpevoli che l’hanno fatta franca. Di norma le prove raccolte nelle indagini non valgono in dibattimento. Ciò allontana il Giudice dalla verità.” E quando la Presidente rilancia l’allarme con tutta la sua autorevolezza, imponendo una riflessione “sulla efficacia degli strumenti normativi finora predisposti per tutelare il massimo rispetto del diritto alla libertà personale, preservare il nostro sistema dal rischio di errori suscettibili di produrre conseguenze nefaste sulla vita degli imputati e le loro famiglie”, Davigo insiste: “Oggi conviene delinquere, non pagare i debiti, impugnare le condanne. Non si ha niente da perdere”.

E’ vero aggiunge la Casellati “che nessun ordinamento può dirsi perfetto ed immune da errori sul piano processuale” e che “gli errori possono verificarsi anche indipendentemente dalla sussistenza di profili di responsabilità in capo a chi li commette”. Ma proprio per questo ben venga l’esistenza dei tre gradi di giudizio, chiosa la Presidente, che molti magistrati, Davigo in testa, vorrebbero limitare (“in appello buona parte delle assoluzioni dipende dalla difficoltà di conoscere a fondo il processo”): la possibilità dei ricorsi “esprime la necessità di contenere quanto più possibile il verificarsi di tali anomalie e di garantire che il processo possa giungere alla sua conclusione naturale: l’accertamento della verità”. Sta di fatto che almeno 26 mila volte dal 1992 vi è stata la detenzione e poi il dietrofront: ci siamo sbagliati, siete liberi. Sta di fatto che, secondo i dati più recenti comunicati dal Ministero della Giustizia, la quota dei risarcimenti supererebbe i 36 milioni di Euro.

Sta di fatto che i casi di ingiusta detenzione, purtroppo, sono molti di più di quanto dicano le statistiche, che non calcolano tutti quelli a cui viene respinta la richiesta di indennizzo e che solo ora, grazie alla denuncia della Presidente del Senato, queste “vite calpestate” diventano un caso istituzionale, non più ignorabile. L

a Presidente Casellati, avvocato prima ancora che “politico”, deve essere di ulteriore stimolo alla voce dell’Avvocatura tutta per il recupero di maggiori garanzie nella materia delle libertà personali, riconoscendo il ruolo centrale della difesa, unico baluardo dinanzi alle manifeste anomalie e privazioni.

Iniziando subito dalla sessione ulteriore del XXXIV Congresso Nazionale Forense (indetto a Roma per il 5 e 6 aprile 2019), non a caso titolato “Il Ruolo dell’Avvocato per la democrazia e nella Costituzione”.

Avv. Michele Bromuri – Delegato Cassa Forense

Altri in DIRITTO