IL PECULATO DEL GESTORE DEGLI APPARECCHI DI GIOCO

di Emanuele Nagni

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Con la sentenza n. 6087 della Suprema Corte, emessa il 24 settembre 2020 e depositata lo scorso 16 febbraio 2021), le Sezioni Unite hanno dato risoluzione alla questione sollevata dagli ermellini della Sezione VI circa la corretta qualificazione giuridica della condotta del gestore degli apparecchi e congegni per il gioco lecito (slot-machines) ex art. 110, co. 6 e 7 TULPS, responsabile per essersi appropriato dei proventi del gioco, comprensivi delle somme destinate al versamento al concessionario della rete per la gestione telematica degli apparecchi e al prelievo erariale unico (PREU) di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, poi convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

I precedenti gradi di giudizio, aderendo all’orientamento interpretativo maggioritario, avevano qualificato l’impossessamento dell’importo riscosso e trattenuto dall’imputato come delitto di peculato, di cui all’art. 314 c.p. La Sezione assegnataria del ricorso riteneva però di sposare l’interpretazione adottata con la sentenza “Poggianti” (Cass., Sez. VI, 5 aprile 2018, n. 21318), devolvendo dunque la questione alle Sezioni unite.

Partendo dalla natura dei proventi di gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito come vincita agli scommettitori, le Sezioni unite, nel corredo motivazionale, hanno infatti ritenuto indubbia l’appartenenza all’Amministrazione. 

Sulla scorta di tale considerazione, può ritenersi che il concessionario della rete assuma quindi il ruolo di agente contabile di cui all’art. 178, R.D. 23 maggio 1924, n. 827, poiché

"deputato istituzionalmente al maneggio di tale denaro pubblico”.

Inoltre, la Suprema Corte ha definito che il soggetto gestore rivesta la qualifica di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 358 c.p.), in quanto designato per la raccolta e conservazione del denaro pubblico prelevato ‘nomine alieno’.

Al gestore, dunque, potrebbe essere pacificamente attribuita la responsabilità per la fattispecie di peculato, data l’appropriazione dell’incasso degli apparecchi senza il conseguente versamento al concessionario della rete anche per la parte sottoposta al prelievo dell’Erario. 

Pertanto, la statuizione delle Sezioni unite ha confermato l’impianto ermeneutico largamente prevalente: l’appropriazione del denaro finalizzato al versamento del PREU perpetrata dal gestore o dal soggetto concessionario della rete rientra chiaramente negli estremi del reato di peculato, che si concreta nell’omissione del pagamento dell’imposta all’Amministrazione finanziaria da parte del soggetto deputato alla riscossione, in quanto incaricato di pubblico servizio. 

Avv. Emanuele Nagni del Foro di Roma


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