IL GREEN PASS: LA SALUTE COME BENE COLLETTIVO

di Francesco Rossi

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Vi è stato in questi giorni un susseguirsi di interventi – ci si riferisce, in particolare, a quelli delle organizzazioni sindacali che si sono spinte fino a proclamare agitazioni a riguardo – attraverso i quali è stata stigmatizzata la richiesta, rivolta ai lavoratori, di esibire il green pass per accedere alle mense o in altri esercizi pubblici ove i medesimi operino.

Analoghi interventi vi sono stati da parte di alcuni esponenti del mondo della scuola, ora che il green pass sarà necessario anche per accedere alle aule scolastiche.

Non si vuole qui tornare sulla questione dell’obbligatorietà del vaccino (o del green pass) per accedere ai luoghi di lavoro, ma evidenziare come si tratti di assunti sorprendenti e che appaiono porsi in palese contraddizione con l’attenzione riservata (giustamente) da quegli stessi esponenti sindacali al tema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, tanto più a fronte degli infortuni sul lavoro che continuano a costituire un inaccettabile flagello che colpisce le persone dei lavoratori e le loro famiglie. Infortuni rispetto ai quali si denuncia, spesso con fondamento, l’inadeguatezza dei sistemi di protezione e tutela, la loro rimozione in nome della logica del profitto, il prevalere sul diritto fondamentale alla salute nei luoghi di lavoro dell’interesse individuale al maggior lucro possibile.

Contraddizione che riguarda anche le prese di posizione degli esponenti del mondo della scuola, che (prima d’ora) si sono sempre battuti affinché la ripresa delle lezioni in presenza avvenisse in condizioni di sicurezza.

Ebbene, tale legittima pretesa alla sicurezza nei luoghi di lavoro – siano essi i bar o le aule scolastiche - sembra sparire come d’incanto quando si parli di vaccino o di green pass quale necessario requisito per lo svolgimento di attività in luoghi condivisi.

Eppure, fin dall’inizio della pandemia l’INAIL prima e la stessa legge (art. 42 del d.l. n. 18 del 2020) poi hanno riconosciuto il Covid 19 come infortunio sul lavoro ove contratto in occasione di lavoro; ragione per la quale il vaccino (o un certificato che ne attesti l’effettuazione) come strumento di tutela rispetto alla contrazione della malattia dovrebbe essere una richiesta che proviene a gran voce proprio da coloro che affermano essere attenti alla tutela della salute dei lavoratori e degli utenti.

La ragione di tale diverso modo di porsi deve rinvenirsi, a parere di chi scrive, nell’idea che la salute, in genere e nei luoghi di lavoro in particolare, rappresenti una sorta di diritto rispetto al quale il lavoratore interessato si pone in una posizione di semplice attesa dell’adempimento, che deve, per definizione, intervenire ad opera di altri, datore di lavoro o colleghi che siano.

Per cui al lavoratore che non ponga in essere quanto egli stesso può fare per tutelare la sua integrità (nel caso vaccinarsi o esibire il green pass) nulla deve essere rimproverato.

Si tratta di una prospettiva che non pare in alcun modo condivisibile.

Il diritto alla salute nei luoghi di lavoro non si esaurisce in questa situazione di attesa ma, come sottolineato più volte dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n. 218 del 1994, comprende e implica il dovere dell’individuo di non porre in pericolo con il proprio comportamento la salute propria e altrui.

E nel bilanciamento fra il diritto del singolo ad autodeterminarsi (e scegliere quindi di non vaccinarsi) ed il dovere, nell’interesse collettivo, di collaborare affinché nei luoghi di lavoro la salute di tutti gli addetti sia tutelata, deve prevalere il secondo. 

Una prevalenza sancita, sotto il profilo normativo, dall’art. 20 del Testo Unico sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro del 2008, disposizione che prevede espressamente come ogni lavoratore debba prendersi cura della sua salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni.  

Una norma che ha sancito, in ossequio agli insegnamenti della Corte Costituzionale, in radicale mutamento di prospettiva nella tutela della salute nei luoghi di lavoro, rendendo il lavoratore protagonista della salvaguardia sua e dei colleghi e superando definitivamente l’idea della sicurezza come onere riservato esclusivamente al datore di lavoro.

Una norma che sembra scritta con riferimento alla situazione che stiamo vivendo oggi ma che, evidentemente, a distanza di oltre un decennio dalla sua introduzione, ci rifiutiamo ancora di leggere, preferendo affidarci alla cultura dell’ “intanto lo facciano gli altri”.

 

Avv. Francesco Rossi, Foro di Padova


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