IL CORRISPETTIVO NEL PATTO DI NON CONCORRENZA CON UN LAVORATORE AUTONOMO O PARASUBORDINATO

di Livio Galla

Stampa la pagina
foto

Ascolta la versione audio dell'articolo

Nell’ambito della complessa e variegata realtà industriale contemporanea, dove la competizione tra imprese si fa sempre più accesa, il patto di non concorrenza rappresenta un importante strumento di tutela del patrimonio tecnico e conoscitivo di un’azienda.

Che cos'è il patto di non concorrenza?

Come noto, detto accordo può essere stipulato sia tra azienda e dipendente, sia nei confronti di un collaboratore in regime autonomo o di para-subordinazione. Nel primo caso, il patto è regolato dall’art. 2125 c.c. e la sua sottoscrizione obbliga il lavoratore a non svolgere attività concorrenziali per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Durante la vigenza del contratto di lavoro subordinato, infatti, il dipendente è già soggetto al c.d. obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.).

In particolare, i requisiti che deve possedere il patto di non concorrenza con il lavoratore dipendente sono: forma scritta, pattuizione di un corrispettivo congruo e determinato in favore del prestatore, vincolo contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo, durata non superiore a tre anni. Ai rapporti di lavoro di tipo autonomo o parasubordinato, invece, non si applica l’art. 2125 c.c., bensì l’art. 2596 c.c., come risulta confermato dalla giurisprudenza di legittimità:

“il divieto contrattuale di concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile all’art. 2125 c.c. ma rientra nella previsione dell’art. 2596 c.c.” (Cass. n. 7141/2013). In questo caso, i requisiti di legge sono: forma scritta ad probationem, indicazione di una determinata zona o attività, durata limitata ai 5 anni.

Chi paga il patto di non concorrenza?

La differenza sostanziale tra le due norme riguarda quindi la previsione di un corrispettivo per il sacrificio imposto al lavoratore. Mentre il pagamento di un emolumento congruo e determinato è elemento necessario per il patto sottoscritto con il lavoratore subordinato, la cui mancanza porta alla nullità dell’accordo, per il collaboratore autonomo/parasubordinato, invece, tale requisito non è affatto previsto dalla legge e il patto di non concorrenza è valido anche senza la previsione di un pagamento in favore del prestatore.

È bene, pertanto, che un lavoratore autonomo verifichi la presenza di una clausola di non concorrenza all’interno del proprio accordo di collaborazione.

Qualora fosse presente una clausola di questo tipo e non fosse previsto il pagamento di un corrispettivo, il prestatore deve essere consapevole della liceità della pattuizione e, quindi, del vincolo che gli viene imposto per il tempo successivo alla cessazione del rapporto.

Come accade per i lavoratori subordinati, tuttavia, non è pensabile che la clausola di non concorrenza sia così stringente da impedire al collaboratore di esprimere la propria professionalità in modo totalizzante e deve quindi essere sempre verificata la sussistenza dei limiti descritti sopra. Occorre segnalare, infine, che nessun ostacolo pare sussistere alla limitazione della concorrenza rispetto allo svolgimento di determinate professioni, per cui risulterebbe valida una clausola di non concorrenza stipulata, ad esempio, tra una struttura sanitaria privata e un medico in regime di libera professione.

In particolare, qualora la clausola limiti lo svolgimento dell’attività professionale solo all’interno di strutture private, permettendo quindi di operare nell’ambito della sanità pubblica, essa dovrebbe ritenersi pienamente valida. Sarebbe infatti più difficoltoso pensare di intervenire con un patto di non concorrenza che impedisca al medico di lavorare in ospedale, in considerazione del rilievo pubblicistico riconosciuto a tale servizio essenziale per la salute individuale e pubblica. 


Altri in DIRITTO