DISABILITÀ E LICENZIAMENTO: LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA RIBADISCE L'OBBLIGO DEI "RAGIONEVOLI ACCOMODAMENTI"

di Roberto Finocchiaro

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Con la recente sentenza n. 55.2024 la Corte d’Appello di Venezia -Sezione Lavoro, riformando la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso del lavoratore contro il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è tornata sul recente concetto dei ragionevoli accomodamenti che il datore di lavoro dovrebbe adottare nel caso di licenziamento di persona che possa definirsi disabile in forza del concetto eurounitario di “disabilità”.

Nel caso deciso un lavoratore, giudicato dal medico competente idoneo alle mansioni ma con la limitazione alla movimentazione manuale di carichi a 5-6 Kg, veniva licenziato in quanto in azienda non vi sarebbero state mansioni compatibili con il suo profilo professionale.

Secondo il Tribunale di primo grado il datore di lavoro non aveva l’obbligo di adottare ragionevoli accomodamenti prima di licenziare il lavoratore, non potendosi qualificare lo stesso come disabile, non avendo questi prodotto in giudizio alcuna certificazione dell’INPS attestante l’effettivo handicap o la situazione di invalidità civile, né documentazione attestante l’iscrizione alle categorie protette ex l. 68.1999 o la presenza di malattia professionale.

Secondo la Corte d’Appello, invece, ai fini dell’applicazione delle tutele del posto di lavoro in relazione alla disabilità è necessario rifarsi alla nozione di “disabilità” elaborata in ambito eurounitario (direttiva 200/78/CE), ovverosia alla nozione di handicap come delineata dalla Corte di Giustizia Europea che  è progressivamente pervenuta ad una nozione ampia e inclusiva di disabilità, tale da ricomprendere ogni limitazione di capacità, risultante in particolare da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di eguaglianza con gli altri lavoratori (c.d. modello biopsicosociale che valorizza l’interazione tra lo stato di salute e gli ostacoli di varia natura esistenti nel contesto lavorativo).

Tale nozione non richiede una determinata soglia minima percentuale di inidoneità al lavoro o un accertamento formale da parte di enti pubblici, escludendosi solo situazioni che non hanno carattere duraturo, non rientrano nelle “menomazioni oppure non si ripercuotono sulla capacità lavorativa.

In questa prospettiva, anche la malattia che incida sulla capacità di lavoro del soggetto in modo duraturo è suggestibile di integrare la nozione eurounitaria di disabilità se incide sulla partecipazione del soggetto alla vita lavorativa in condizioni di parità con gli altri lavoratori.

Nel caso di specie, pertanto, il lavoratore è stato definito come “disabile” essendo portatore, sulla scorta del giudizio del medico competente che non conteneva limitazioni temporali, di una menomazione di carattere duraturo alla colonna vertebrale che lo rendeva idoneo alla mansione di posatore di piastrelle con la limitazione alla movimentazione dei carichi.

Il datore di lavoro, quindi, prima di licenziare tale lavoratore avrebbe dovuto adottare dei c.d. ragionevoli e accomodamenti che nel caso di specie non aveva neppure tentato di individuare, limitandosi ad affermare che non erano disponibili altri posti in azienda; questo nonostante lo stesso lavoratore avesse indicato nel ricorso introduttivo quali potevano essere tali ragionevoli accomodamenti (condivisi dalla Corte), come la riduzione dell’orario di lavoro, una diversa organizzazione del lavoro con adibizione e mansioni meno gravose, l’acquisto di macchinari con funzione di ausilio alla movimentazione dei carichi pesanti accedendo a finanziamenti pubblici.

Il ricordato concetto di disabilità, condivisibile nei presupposti generali, rischia di rendere molto difficoltosa la gestione di rapporti di lavoro con soggetti con patologie piò o meno evidenti, posto che il datore di lavoro si può trovare di fronte a casi di cui non conosce l’origine o esattamente la durata della patologia (non potendo neppure accedere al fascicolo del Medico Competente e non essendo necessarie particolari certificazioni secondo questo orientamento), apprendendo solo in causa che eventualmente doveva adottare ragionevoli accomodamenti.

In situazioni in cui vi potrebbe essere questo dubbio, sarebbe opportuno per il datore di lavoro formalizzare al lavoratore una richiesta in ordine alle possibili mansioni in cui potrebbe essere adibito ovvero quali, secondo lui, potrebbero essere i ragionevoli accomodamenti, prima di licenziare per inidoneità al lavoro ovvero per GMO per impossibilità di adibire a mansioni compatibili con il giudizio del MC: in tale ottica un dovere di collaborazione, secondo i generali criteri di correttezza e buona fede, pare richiedibile al lavoratore.


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