Congedo parentale e attività lavorativa: la Cassazione conferma il licenziamento per abuso del diritto
21/10/2025
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Con l’ordinanza n. 24922/2025 , la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore che, durante il periodo di congedo parentale, aveva svolto attività lavorativa presso lo stabilimento balneare della moglie, in assenza del figlio minore.
Il caso nasce da un licenziamento intimato nel 2020 da una società a un dipendente che, secondo quanto accertato in giudizio, nel periodo dal 2 al 16 agosto 2019 aveva utilizzato il congedo parentale non per la cura del figlio di tre anni, ma per prestare attività lavorativa.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, riformando la decisione di primo grado, aveva ritenuto provato lo sviamento della finalità del congedo, sottolineando che il lavoratore non solo non aveva garantito la presenza accanto al figlio, ma aveva reso necessario l’intervento di terzi per supplire alla sua assenza.
Il ricorso per cassazione si fondava su due motivi: da un lato, la presunta violazione delle regole processuali e probatorie (artt. 24 Cost., 115, 116, 132 c.p.c. e 2697 c.c.), dall’altro, l’errata interpretazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 151/2001, che disciplina il congedo parentale.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo, ribadendo che l’omessa ammissione di una prova, nel caso specifico una prova testimoniale, è rilevante solo se incide su un punto decisivo della controversia.
Quanto al secondo motivo, lo ha ritenuto infondato, richiamando una giurisprudenza ormai consolidata. Secondo la Cassazione, il congedo parentale è un diritto potestativo che deve essere esercitato in coerenza con la sua funzione: la cura diretta del figlio. Qualsiasi attività che si discosti da questa finalità, anche se occasionale, può costituire abuso del diritto, specie se priva di una relazione diretta con l’assistenza al minore.
In questo senso, la Corte ha richiamato i propri precedenti in materia di permessi ex lege n. 104/1992, dove è stato più volte affermato che l’utilizzo per finalità diverse da quelle assistenziali può giustificare il licenziamento (Cass. n. 4984/2014; Cass. n. 21529/2019).
La decisione conferma la possibilità di esercitare controlli sull’effettivo utilizzo dei benefici assistenziali, dall’altro ribadisce che la titolarità di un diritto non esclude la verifica della sua corretta fruizione. Il comportamento del lavoratore, se contrario alla buona fede e alla finalità dell’istituto, può legittimare il recesso per giusta causa.