CONDOMINIO : MESSA A PERDITA DI UN CREDITO CONDOMINIALE

di Giuseppe Zangari

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Se è vero che ripartire in capo ai condomini virtuosi la quota di contribuzione non versata e non recuperabile rischia di tradursi in una violazione del principio di proporzionalità sancito dall’articolo 1123 del Codice Civile, neppure è accettabile che il disavanzo non sia mai ripianato e venga riportato in perpetuo nei bilanci d’esercizio condominiali.

Cosa si intende per messa a perdita?

Mutuando una terminologia propria dell’ambito contabile e fiscale, per “messa a perdita” si intende l’ipotesi in cui la compagine virtuosa, esauriti i tentativi di recupero giudiziale del credito senza tuttavia ottenere l’integrale soddisfazione, si rassegni a farsi carico degli oneri non riscossi, ovviamente pro quota.

Ciò si verifica, in ultima istanza, quando risulti insufficiente il ricavato dell’espropriazione dell’immobile facente parte del condominio (ad esempio perché devoluto agli intervenuti creditori ipotecari) nè, al contempo, si riesca a beneficiare per intero della responsabilità a carico del condomino subentrante, ad esempio perché il credito condominiale è sorto prima del biennio di solidarietà previsto dall’articolo 63, comma 4 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile.

Ebbene, la messa a perdita di una somma divenuta inesigibile comporta giocoforza un’eccezione al principio della proporzionalità sancito dall’articolo 1123 del Codice Civile.

I condomini in regola con la propria contribuzione si vedono, infatti, costretti ad accollarsi il debito del condomino moroso e dunque a versare un quid in più rispetto a quanto dovuto in base alle rispettive carature millesimali.

Per tale motivo la (scarsa) giurisprudenza in argomento ha sempre ritenuto che la delibera con cui si autorizza la messa a perdita del credito inesigibile debba essere adottata con il consenso unanime dell’assise, non essendo consentito derogare all’articolo 1123 tramite un voto a maggioranza, ancorché qualificata:

«In mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c. e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi» (Corte di Cassazione, sentenza 13631/2001; ma si veda anche Tribunale di Roma, sentenza 18477/2015).

Di conseguenza, se anche un solo condomino decide di porre il veto, la delibera non potrebbe essere adottata pena l’illegittimità, peraltro nella forma più radicale della nullità.

Al contempo, è altresì vero l’articolo 1123 configura la proporzionalità quale regola generale «salvo diversa convenzione», dal che sarebbe astrattamente possibile, tramite un regolamento a natura contrattuale -ossia predisposto dall’originario costruttore e recepito dai successivi condomini tramite il richiamo nei rispettivi rogiti di acquisto e la trascrizione nei pubblici registri immobiliari, ovvero, in alternativa, una delibera adottata dall’intera compagine- introdurre un meccanismo che autorizzi la messa a perdita con votazione a maggioranza, così da evitare a monte ogni impasse decisionale.

Com’è facile intuire, tuttavia, nella prassi ciò accade molto raramente.

Un nuovo orientamento Tribunale di Monza sentenza 1401/2020

Giust’appunto per violazione dell’articolo 1123 viene impugnata la delibera che, nella vertenza in esame, aveva ripartito la morosità di un condomino senza l’approvazione unanime dell’assemblea.

Ciò nonostante, il Tribunale di Monza si discosta dall’orientamento sopra esposto, affermando invece la legittimità del voto maggioritario (Tribunale di Monza, sentenza 1401/2020).

In primo luogo, il Giudicante nota essere la stessa Suprema Corte, nella sentenza 13631/2001, a non escludere in via assoluta la possibilità di una ripartizione a maggioranza, ritenendo ammissibile istituire un fondo cassa per morosità nelle «ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme» ovvero di «aggressione in executivis da parte di creditore del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio».

Una facoltà che si traduce nella possibilità di mettere a perdita il credito, ancorché temporaneamente per la durata del fondo cassa.

In secondo luogo, viene posto l’accento sul fatto che le somme vantate nei confronti del condomino moroso risultano effettivamente non più escutibili, essendosi esaurita anche la procedura esecutiva immobiliare con il trasferimento dell’unità a terzi.

A parere del Tribunale brianzolo pertanto,

«delle due l’una: o è consentito all’organo assembleare deliberare a maggioranza sul riparto dell’importo del tutto inesigibile dal debitore moroso, ovvero, affermata la necessità della delibera all’unanimità e riconosciuto, con piglio pratico, che la regola dell’unanimità comporta la sostanziale impossibilità che un organo collegiale quale l’assemblea dei condomini sia posto in grado di assumere qualsiasi deliberazione sul punto all’o.d.g., deve concludersi nel senso che il disavanzo di bilancio non possa essere mai ripianato, essendo ineluttabile il suo “riporto” da un esercizio a quello successivo, soluzione con evidenza inaccettabile, non fosse altro perché contrastante con i principi basilari della contabilità condominiale».

Dal che -si ribadisce- la possibilità di decidere a maggioranza sulla messa a perdita del credito, poiché il rischio di perpetuare in eterno nel bilancio condominiale un credito inesigibile consente di superare ogni eccezione.


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