Avvocati che esercitano all'estero e obbligo di iscrizione alla Cassa Forense
23/11/2015
Stampa la paginaIl D.Lgs.vo n. 96/2001 ha introdotto la figura dell’avvocato stabilito e, ai fini previdenziali, è equiparato il trattamento degli avvocati stabiliti a quello degli integrati già assoggettati agli obblighi dichiarativi e contributivi previsti dalla normativa vigente, identificandosi nella residenza l’elemento sul quale fondare il criterio di applicazione della normativa nei confronti dell’avvocato comunitario che eserciti permanentemente l’attività sia in territorio italiano che in quello di altro Paese membro.
L’art. 13 del Regolamento CE n. 883/04 al comma 2 stabilisce che “la persona che esercita abitualmente un’attività lavorativa autonoma in due o più Stati membri è soggetta alla legislazione dello Stato membro di residenza se esercita una parte sostanziale della sua attività in tale Stato membro, oppure alla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro di interessi delle sue attività, se non risiede in uno degli Stati membri nel quale esercita una parte sostanziale della sua attività”.
Pertanto, l’art. 13 del Regolamento CE n. 883/04, nel disciplinare l’ipotesi di cittadini comunitari che svolgono attività professionale in più Stati membri, ha confermato, ai fini dell’individuazione della normativa applicabile, il criterio della residenza integrandolo con l’ulteriore requisito relativo alla circostanza che il professionista svolga nello stato di residenza “una parte sostanziale della sua attività”.
Ne deriva che, affinché non sussista l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, in caso di superamento dei limiti reddituali stabiliti dal Comitato dei Delegati per la prova dell’esercizio continuativo della professione secondo la disciplina previgente all’entrata in vigore del nuovo regolamento di attuazione ai sensi dell’art. 21, commi 8 e 9, della legge n. 247/2012, in capo al professionista residente sia in Italia che in uno Stato membro dell’Unione Europea, iscritto agli albi professionali di entrambi i paesi ed alla Cassa di previdenza dello Stato estero, è necessario che lo stesso documenti di svolgere una parte sostanziale della propria attività fuori dall’Italia.
Per quanto riguarda l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 17 della legge 576/80, esso incombe su tutti gli avvocati iscritti in albi dello Stato italiano, compresi quei professionisti iscritti ad una Cassa previdenziale straniera i quali, tuttavia, non sono obbligati all’iscrizione alla Cassa previdenziale italiana. In base al Regolamento per l’applicazione degli artt. 17 e 18 della legge 576/80, gli avvocati che esercitano la professione all’estero hanno l’obbligo di inviare le prescritte comunicazioni se conservano l’iscrizione in un albo italiano e devono indicare solo la parte di reddito o il volume d’affari eventualmente prodotti in Italia e quindi soggetti a tassazione nel nostro Paese.
Al riguardo, si osserva che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15109/2005, ha affermato che l’obbligo posto a carico del professionista di trasmissione delle comunicazioni relative ai propri redditi deriva per il solo fatto dell’iscrizione all’albo professionale, a prescindere anche dall’esistenza di eventuali situazioni di incompatibilità e deve essere adempiuto anche se le dichiarazioni fiscali non sono state presentate o sono negative e tale principio è stato confermato dalle due sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 9184 del 7 giugno 2012 e n. 20219 del 19 novembre 2012.
I principi innanzi espressi sono stati affermati e meglio chiariti dalla sentenza d’appello innanzi citata. Infatti, nella fattispecie, il ricorrente, avvocato iscritto nella sezione speciale dell’Ordine degli Avvocati ai sensi del D.lgs n. 96/2001, premettendo di aver espressamente dichiarato all’atto dell’iscrizione di avvalersi del diritto di opzione in favore dell’ente previdenziale spagnolo, aveva chiesto l’accertamento del diritto di optare per l’iscrizione all’ente di previdenza anzidetto ai sensi dell’art. 1, comma 4, D.M. 22.5.1997 e, per l’effetto, l’accertamento dell’assenza dell’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, con conseguente esonero dall’invio del modello 5 e di ogni altro onere ed obbligo ad esso connesso, quale il versamento del contributo integrativo.
Invero, l’art. 1, comma 4, del D.M. 22.5.1997, contenente il “Regolamento per l’applicazione degli artt. 17 e 18 della legge 29 settembre 1980 n. 576, come modificati dagli artt. 9 e 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 141”, stabilisce che “gli avvocati e i procuratori iscritti anche in altri albi professionali e alle relative casse previdenziali, che abbiano esercitato l’opzione a favore di una di tale cassa, se prevista, non hanno l’obbligo di inviare le prescritte comunicazioni. Essi devono provare l’avvenuto esercizio dell’opzione per escludere gli obblighi contributivi e dichiarativi”. Tale disposizione riguarda, quindi, fattispecie diversa da quella in esame.
Ciò posto, come noto, a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento ai sensi dell’art. 21 della legge n. 247/2012, o dalla data di iscrizione all’Albo, se successiva, l’iscrizione alla Cassa Forense è obbligatoria per tutti gli avvocati agli Albi professionali forensi e, quindi, anche per gli iscritti agli Albi forensi che siano contemporaneamente iscritti in altri Albi professionali. Tuttavia, come precisa il nuovo regolamento all’art. 1, “essi sono tenuti al versamento dei contributi soggettivi e integrativi solo sulla parte di reddito e di volume d’affari relativi alla professione di avvocato, fermo in ogni caso l’obbligo a corrispondere i contributi minimi. Per gli iscritti ad un Albo forense che esercitino l’attività professionale in modo concorrente o esclusivo in un altro Stato membro dell’Unione Europea, si applicano i Regolamenti Comunitari n. 883 del 29.4.2004 e n. 987 del 16.9.2009 per la determinazione della legislazione previdenziale applicabile”.
Alla luce della normativa richiamata, la Corte d’Appello ha precisato che la domanda dell’appellante è infondata per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 247/2012, atteso che, in base alle disposizioni dei commi 8 e 10 dell’art. 21, l’obbligo di iscrizione alla Cassa insorge automaticamente per tutti gli iscritti agli Albi degli Avvocati, anche se iscritti in altri Albi professionali, tanto più ove si consideri che l’art. 14, comma 2, del Regolamento di attuazione ha espressamente abrogato la norma previgente che prevedeva la facoltà di opzione già prevista dall’art. 1 comma 7, del Regolamento approvato con D.M. del 22.5.1997 (ancorché trattasi comunque di opzione non applicabile alla fattispecie in questione).
Premesso ciò, la Corte si dilunga in un’ampia e riflettuta digressione sia sull’obbligo di invio del mod. 5, sia sull’obbligo di iscrizione e contribuzione alla Cassa Forense, precisando, per quanto riguarda il primo aspetto, che le pronunce della Suprema Corte invocate dall’appellante (Cass., 11 gennaio 2006, n. 233 e Cass., 25 novembre 2009, n. 24784) concernono fattispecie relative ad avvocati stranieri che esercitavano la professione anche all’estero e avevano specifico riferimento all’obbligo o meno di comunicazione alla Cassa Forense dell’ammontare dei redditi professionali.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto non condivisibile il principio di diritto enunciato nelle precedenti menzionate decisioni della Sezione Lavoro, n. 233/2006 e n. 24784/2009 (Cass., SS.UU., 7 giugno 2012, n. 9184 e 19 novembre 2012, n. 20219). Infatti, le Sezioni Unite, aderendo alla tesi interpretativa della Cassa Forense, hanno ritenuto non condivisibile il principio affermato, con carattere di generalità, e non per i soli casi del tutto particolari degli avvocati cittadini di Paesi dell’Unione Europea iscritti in Casse previdenziali straniere, dalla Sezione Lavoro con le sentenze del 2006 e del 2009, precisando che l’interpretazione fornita con tali due precedenti “oltre a non rispondere all’effettivo dato letterale della disposizione per le ragioni in precedenza esposte, si palesa apodittica, nella parte in cui esclude che il requisito della già sussistente iscrizione alla Cassa sia riferibile ai soli praticanti, non cogliendo le ragioni di tale distinzione e nel considerare la ratio della disposizione, pur correttamente individuata nell’esigenza di conoscere i flussi di reddito dei professionisti in questione, non tenendo conto tuttavia che tale conoscenza non è solo funzionale alla determinazione dei contributi dovuti da chi già risulti iscritto ma anche all’accertamento dei requisiti reddituali o di volume di affari in presenza dei quali, per gli avvocati non ancora iscritti, sorge l’obbligo dell’iscrizione, cui provvede in via sostitutiva e d’ufficio, nei casi di mancata domanda dell’interessato, ai sensi dell’art. 22 co. 2 L. 576/80, la giunta esecutiva dell’ente. Tale potere quest’ultima non sarebbe in grado di esercitare, se non disponesse di uno strumento di conoscenza dei dati patrimoniali sopra indicati, proveniente dagli stessi soggetti potenzialmente tenuti agli obblighi di iscrizione e contribuzione de quibus, quale è la dichiarazione di cui all’art. 17 citato”.
Le Sezioni Unite hanno concluso affermando che la scelta legislativa di imporre anche ai non iscritti alla Cassa la comunicazione reddituale è motivata dalle meritevoli esigenze sociali di garantire l’effettività dell’obbligo di iscrizione ai fini dell’assistenza e previdenza obbligatoria della categoria professionale, nello stesso interesse dei relativi appartenenti.
Quindi, la Corte d’Appello di Roma conclude, sul punto specifico, che le pronunce delle Sezioni Unite impongono “una rivisitazione dei principi affermati nelle due pronunce della Suprema Corte del 2006 e del 2009 con riferimento ad avvocati appartenenti a Paesi dell’Unione Europea iscritti anche agli Albi italiani, ma ad un ente di previdenza straniero, poiché la chiara interpretazione sia letterale che sistematica che forniscono della norma in questione (art. 17 della legge n. 576/80) non può non indurre ad una rilettura a proposito di tale specifica situazione, che non pare differenziarsi, per lo meno sulla scorta degli elementi addotti dalla Sezione Lavoro per giustificare l’esenzione dall’obbligo di invio del modello 5, dalla situazione degli avvocati italiani iscritti ai soli Albi degli avvocati e non anche alla Cassa”.
Ciò posto con riferimento all’obbligo di invio della dichiarazione reddituale anche per chi esercita la professione in Italia e in un altro Paese comunitario, va rilevato che il regolamento CE n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29.4.2004 nella premessa (n. 17) afferma che allo scopo di garantire nel modo migliore la parità di trattamento di tutte le persone occupate nel territorio di uno Stato membro, è opportuno stabilire come legislazione applicabile, in via generale, la legislazione dello Stato membro nel cui territorio l’interessato esercita la sua attività subordinata o autonoma.
L’art. 13, comma 2, dello stesso Regolamento n. 883/2004 precisa poi che “la persona che esercita abitualmente un’attività lavorativa autonoma in due o più Stati membri, è soggetta:
a) alla legislazione dello Stato membro di residenza se esercita una parte sostanziale della sua attività in tale Stato;
b) alla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro di interessi delle sue attività, se non risiede in uno degli Stati membri nel quale esercita una parte sostanziale della sua attività”.
Inoltre, il Regolamento CE n. 897/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.9.2009 stabilisce le modalità di applicazione del Regolamento n. 883/2004 e, all’art. 11, indica gli elementi per la determinazione della residenza (necessari per individuare la legislazione dello Stato applicabile), elementi che vengono indicati in:
- durata e continuità della presenza nel territorio degli Stati membri;
- luogo in cui l’attività è esercitata abitualmente.
L’art. 14 comma 3, del Regolamento n. 987/2009 specifica che “per persona che esercita abitualmente una attività lavorativa autonoma in due o più stati membri si intende in particolare una persona che esercita contemporaneamente o a fasi alterne, una o più attività lavorative autonome distinte, a prescindere dalla loro natura, in due o più Stati membri”.
L’art. 14, comma 8, del Regolamento n. 987/2009 specifica ancora che per “parte sostanziale di una attività subordinata o autonoma esercitata in uno Stato membro” si intende che in esso è esercitata una parte quantitativamente sostanziale dell’insieme delle attività del lavoratore subordinato o autonomo, senza che si tratti necessariamente della parte principale di tali attività.
Ne discende, in sintesi, che le norme comunitarie, nel disciplinare l’ipotesi di cittadini comunitari che svolgono attività professionale in più Stati membri, hanno confermato, ai fini dell’individuazione della normativa previdenziale applicabile, il criterio della residenza già indicato della previgente normativa di cui al Regolamento CE n. 1408/71, integrandolo con l’ulteriore requisito relativo alla circostanza che il professionista svolga nello stato di residenza “una parte sostanziale della sua attività”.
Ne consegue che l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, in presenza dei “requisiti” anzidetti, sussiste anche per l’avvocato “europeo” iscritto in un albo professionale in Italia congiuntamente all’iscrizione in un albo professionale in un paese della Comunità europea ed all’ente previdenziale “estero”. Né tale iscrizione (e l’obbligo di inviare la comunicazione reddituale obbligatoria), costituisce ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libertà di circolazione.
Avv. Marcello Bella – Dirigente dell’Ufficio legale di Cassa Forense