Ancora sulle pensioni indirette e di reversibilità per i figli studenti universitari: secondo corso di studi

di Marcello Bella

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Al riguardo, la giurisprudenza della Corte dei Conti non ha espresso una posizione univoca, giacché ha dapprima affermato che il trattamento di reversibilità non può essere ulteriormente riconosciuto in favore dell’orfano maggiorenne, di età inferiore ai ventisei anni, che ne abbia beneficiato per l’intera durata del corso di studi universitari prescelto, senza peraltro conseguire il relativo diploma di laurea, iscrivendosi quindi ad altra facoltà (Corte Conti, Sez. Giur. Reg. Campania, 8.3.1996, n. 32). Successivamente, la magistratura contabile ha mutato indirizzo, affermando che compete all’orfano maggiorenne il trattamento pensionistico di reversibilità (sempre con il limite temporale del compimento del ventiseiesimo anno di età) per tutto il periodo di iscrizione universitaria, a nulla rilevando l’eventuale passaggio da una facoltà a un’altra ovvero da un’università a un’altra, dovendo rimanere scoperto solo il periodo intercorrente tra la “cancellazione” e la “reiscrizione” (Corte Conti, Sez. III, 4.7.1997, n. 201/A), precisando anche che è richiesta dalla norma semplicemente l’iscrizione, ma non anche lo status di studente universitario (Corte Conti, Sez. Giur. Reg. Emilia-Romagna, 2.3.1998, n. 111). L’orientamento successivo, invero, sembra avere trovato una posizione di equilibrio tra i precedenti, laddove è stato affermato che, qualora l’orfano maggiorenne studente universitario, dopo aver rinunziato agli studi intrapresi, si iscriva a una nuova facoltà, al fine di individuare il termine di decadenza del diritto a pensione va assunta come decorrenza iniziale quella della iscrizione al primo corso di laurea e, come durata legale massima, quella relativa al nuovo corso di laurea intrapreso (Corte Conti, Sez. Giur. Reg. Sicilia, 8.3.1999, n. 69/C). L’indirizzo giurisprudenziale da ultimo riportato sembra essere il più coerente con il sistema delineato dal legislatore, anche con riferimento alla disciplina previdenziale generale, che ha come ratio l’assistenza economica in favore dell’orfano al fine di agevolarne il compimento degli studi – sempre limitatamente al corso legale di questi ultimi -, non già certamente un fine assistenziale generico.


Sull’argomento, in passato l’INPDAP, con circolare del 5.10.1999, Prot. 1796/M, in applicazione dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, ha precisato che, "per gli studenti universitari dà diritto alla pensione l’iscrizione ad Università statali, ad altro tipo di scuola legalmente riconosciuta cui si accede con il diploma di scuola media superiore, ovvero a corsi di livello universitario … non è possibile attribuire il trattamento di quiescenza, qualora lo studente universitario sia iscritto “fuori corso” successivamente al superamento dei limiti appena ricordati (n.d.r.: compimento del 26° anno di età ed anno accademico compreso nel numero di anni previsti dal corso legale di studi)…. La pensione spetta anche agli studenti universitari che dopo aver ultimato o interrotto un corso di studi ottengano l’iscrizione ad altra facoltà o corso di laurea della stessa facoltà. Qualora venissero riconosciuti utili agli effetti del nuovo corso, uno o più anni relativi al precedente corso, la durata del nuovo corso si riduce del numero di anni accademici riconosciuti utili … la qualifica di studente universitario si perde comunque al compimento del 26° anno di età o al conseguimento della laurea non seguito dall’iscrizione ad un corso di perfezionamento ovvero ad altro corso di laurea".
La conclusione cui perviene l’Inpdap, in effetti, può apparire ragionevole nell’ottica di un’interpretazione sistematica della materia, alla luce della ratio legis come innanzi illustrata e dell’orientamento giurisprudenziale, in particolare della magistratura contabile. Ed invero, se il diritto a pensione viene riconosciuto agli studenti infraventiseienni sul presupposto che è costituzionalmente tutelato il diritto allo studio per i migliori e più meritevoli fino a raggiungere i gradi più alti degli studi ed in ragione della circostanza che gli studenti avrebbero ben poco tempo da dedicare ad attività lavorative, allora appare congruo riconoscere tale diritto fino al compimento dell’età prescritta anche nel caso di iscrizione ad un secondo corso di studi universitari, pur in presenza di titolo accademico già conseguito.


D’altro canto, è parimenti fondata l’osservazione della Corte Costituzionale (Corte Cost., 10 giugno 1993, n. 274) circa la necessità, però, di prevedere dei correttivi all’attuale sistema, in particolare degli strumenti di verifica dell’effettivo impegno negli studi per evitare che la disposizione possa rivelarsi un comodo espediente per percepire un trattamento pensionistico mediante la sola formale iscrizione ad un corso di studi universitario, anche dopo il conseguimento della prima laurea, pur in assenza di effettivo impegno nello studio, che, si rammenta, è il diritto costituzionalmente tutelato ed al cui perseguimento risponde la normativa in questione.
Infatti, come illustrato anche in occasione di una precedente rubrica sull’argomento, la ratio della norma concernente il diritto alla pensione in favore dei figli studenti universitari è da ravvisare nell’art. 34 della Costituzione, poiché, "se questa norma proclama il diritto allo studio e l’impegno della Repubblica a renderlo effettivo fino al raggiungimento dei gradi più alti, ciò può realizzarsi in modo efficiente ove sia dedicato a tale impegno intellettuale tanto tempo da lasciare ben poco (o addirittura nessuno) spazio all’espletamento di altro lavoro redditizio" (Corte Cost. 10 giugno 1993, n. 274, cit.). Si tratta quindi di una tutela in favore di "quei figli che, non possedendo redditi sufficienti a renderli autonomi, neppure sono in grado di procurarseli a motivo della condizione di inabili ovvero (come nel presente caso) della loro dedizione agli studi". La Consulta non condivide tuttavia la scelta del legislatore di riconoscere il diritto a pensione sulla base della sola iscrizione all’università, in quanto, "se la ratio del riconoscimento della pensione di reversibilità è, come si è osservato, il perdurare dalla vivenza a carico dei figli maggiorenni infraventiseienni per l’impossibilità di procurarsi un sufficiente reddito proprio attraverso un lavoro retribuito a causa della dedizione del loro tempo disponibile agli studi, sarebbe peraltro logico esigere, da parte del legislatore, non soltanto l’iscrizione alle scuole o all’università, ma anche l’effettività della frequenza ed il profitto nel rendimento….


Ciò varrebbe ad escludere, fra l’altro, che la tutela finisca per incoraggiare i casi di tante formali iscrizioni seguite da un inadeguato (o nessuno) impegno. Per la scuola media e professionale, la disposizione impugnata richiede che i figli «frequentino», mentre per gli universitari essa si limita a richiedere il requisito della mera «iscrizione»". Conclude la Consulta affermando che, "tuttavia, non spetta alla Corte costituzionale, bensì al legislatore, adottare soluzioni analoghe a quelle indicate" (in senso conforme, Corte Cost., 28 novembre 1994, n. 406).
D’altronde, in assenza di specifici interventi a cura del legislatore, il problema rimane aperto circa la possibilità di accertare la frequenza con profitto del secondo corso di studi; tuttavia, la duplice circostanza che, nell’ambito della previdenza forense, l’art. 7 della legge n. 576/1980 e le successive modifiche e integrazioni regolamentari richiamino apertis verbis le condizioni stabilite per gli impiegati dello Stato e che l’Inpdap riconosca il diritto a pensione anche a chi, pur avendo ultimato un corso di studi di laurea, poi si iscriva ad altra facoltà, in assenza di specifici precedenti giurisprudenziali in termini (ovviamente anche in ragione della posizione dell’Inpdap, tale da non generare contenzioso), induce a ritenere più allineato all’attuale disciplina - pur con tutte le riserve innanzi espresse circa la possibile iscrizione solo formale all’università - il riconoscimento del diritto a pensione anche per il secondo corso di studi universitari, fermi restando il limite dei 26 anni di età e del numero di anni di iscrizione secondo il relativo piano di studi.

Avv. Marcello Bella - Dirigente dell'Uffico legale di Cassa Forense

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