ANCORA SULL’ULTRATTIVITA’ DELLA PROCURA ALLE LITI

di Andrea Magentini

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Torno ad occuparmi di un tema già affrontato in un mio precedente articolo pubblicato su CF News relativo ai poteri che permangono all’avvocato che ha rinunciato alla procura alle liti -o gli è stata revocata- fino alla sua sostituzione, ex art. 85 c.p.c.

Si tratta di una quaestio delicata e da tempo dibattuta in giurisprudenza, che merita di essere nuovamente trattata alla luce delle recenti pronunce emesse.

Esistono due orientamenti contrapposti.

Secondo il primo, il difensore che abbia rinunciato al mandato -o al quale sia stato revocato- conserva fino alla sua sostituzione la legittimazione a ricevere gli atti indirizzati al suo assistito, ma non è più legittimato a compiere atti nel suo interesse, atteso che revoca e rinuncia hanno pieno effetto tra il cliente e il difensore e fanno venir meno il rapporto di prestazione d'opera intellettuale (Cass. Civ. n. 13858/2013).

La ratio sottesa, senz’altro condivisibile, è che bisogna tenere distinti i rapporti esterni (legale/controparte) dai rapporti interni (legale/assistito): se la rinuncia al mandato non ha effetti nei confronti della controparte fino alla sostituzione del difensore, nei rapporti tra avvocato e cliente gli effetti estintivi sono immediati.

Tale orientamento della Suprema Corte è in linea con l’art. 32 del Codice Deontologico Forense, secondo cui l’avvocato, dopo la rinuncia al mandato, non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore.

In base al secondo orientamento, il disposto dell’art. 85 c.p.c. andrebbe invece interpretato nel senso che, fino alla sua sostituzione, il difensore conserva le sue funzioni ed è legittimato sia a ricevere che a compiere atti nell'interesse del mandante (Cass. Civ. n. 17649/2010).

La giurisprudenza più recente pare si stia uniformando a quest’ultimo orientamento: in tal senso, in particolare, si è pronunciata la Sezione VI della Suprema Corte con l’ordinanza n. 12249 del 23/6/2020.

L’avvocato, dunque, pur dopo la revoca del mandato, sarebbe legittimato a presentare memorie e/o comparse, nonché proporre impugnazioni, sino alla nomina di un suo sostituto.

Invero, tale legittimazione comporterebbe un vero e proprio obbligo a carico del professionista di attivarsi in tal senso, in adempimento della procura, ancora attiva ex art. 85 c.p.c.

Tale interpretazione non pare condivisibile, atteso che -contrariamente a quanto asserito dalla Corte- è in palese contrasto con quanto disposto dall’art. 32 del Codice Deontologico Forense (in base al quale, trascorso un adeguato lasso temporale, l’avvocato non è più tenuto né legittimato a compiere attività per l’assistito, anche in assenza di nuovo difensore) e pone in capo al legale oneri e responsabilità ultronee, di difficilissima, se non impossibile, gestione.

Si pensi al caso in cui, dopo la concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., l’assistito revochi il mandato all’avvocato senza nominare un sostituto.

Il legale sarebbe legittimato -e quindi costretto- a redigere dette memorie senza poter contare sulla (indispensabile) collaborazione del proprio assistito, con il rischio, affatto remoto, di poter pregiudicare l’esito della vertenza ed incorrere in responsabilità professionale.

Uso il termine costretto, atteso che, qualora il legale revocato non provvedesse al deposito delle memorie, incorrerebbe nelle decadenze di legge e il nuovo difensore non potrebbe ottenere la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c.

In definitiva, l’avvocato sarebbe costretto a svolgere un’attività difensiva non autorizzata (stante la revoca del mandato), senza poter chiedere il relativo compenso (in assenza del rapporto di prestazione d’opera professionale) né poter più avanzare, ex art. 93 c.p.c., la richiesta di distrazione delle spese (Cass. Civ. n. 31687/2019).

Detto orientamento ha purtroppo trovato seguito in altre pronunce giurisprudenziali successive.

Segnaliamo in particolare la sentenza n. 1329 del 18/3/2021 del Tribunale di Torino, nonché l’ordinanza n. 3312 del 3/2/2022 della Sezione Tributaria della Cassazione, che ha richiamato proprio l’ordinanza n. 12249/2020.

Fortunatamente non sono mancate pronunce in senso contrario, conformi al primo orientamento sopra enunciato.

Infatti, la Sezione III della Cassazione con ordinanza n. 28004 del 14/10/2021 ha statuito che il difensore al quale è stato revocato il mandato non è più legittimato a compiere atti nell’interesse del mandante dal momento della revoca.

Sarebbe quanto mai opportuno un intervento delle Sezioni Unite, volto a fare chiarezza sulla corretta interpretazione da dare all’art. 85 c.p.c.

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