AFFIDAMENTO CONGIUNTO DEI FIGLI, VIOLENZA ENDOFAMILIARE REVOCA DEL COLLOCAMENTO DEI MINORI PRESSO LA MADRE

di Marina Marino Foro di Roma

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Affidamento congiunto, una giurisprudenza ormai consolidata vede prevalere come coniuge destinatario del collocamento dei figli minori – e dunque dell’assegno per il loro mantenimento – la figura materna. Cambia totalmente la prospettiva però, ma sempre prevale il benessere dei figli, quando i minori si trovino a vivere situazioni di particolare tensione nel nuovo ménage familiare creato dalla madre con il suo nuovo compagno.

E’ il cuore della recente sentenza della Cassazione civile, la 3060/2022, che disciplina l’affidamento congiunto ma con collocamento presso il padre di due minori e revoca il precedente collocamento presso la madre e l’assegno di mantenimento in favore di quest’ultima, regolamentando inoltre le visite e le modalità di incontro tra la donna e i figli.

Fondamento della decisione nella tutela dei minori che, secondo le relazioni dei servizi sociali, nei periodi trascorsi con il padre erano sereni e accuditi da un nucleo familiare composito e presente  composto, oltre che dall’uomo, anche dalla nonna materna e dalla zia paterna, divenuta con i suoi figli un punto di riferimento ed aggregazione per i ragazzi. Circostanze queste in linea con gli interessi dei minori, che avevano così raggiunto una stabilità affettiva, di vita sociale e familiare,  al punto che i giudici di primo e di secondo grado avevano ritenuto che la collocazione dei minori presso il padre fosse per loro positiva e tutelante.

Ben diversa la vita con la madre, costellata di numerosi episodi di violenza perpetrati dal convivente di lei nei confronti della compagna, che si era determinata a denunciarlo solo a seguito delle sollecitazioni dei servizi sociali.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalente non vi è dubbio che i due minori andassero sottratti al clima di violenza cui erano stati sottoposti. Detto ciò anche in questo caso dobbiamo constatare come la violenza endofamiliare comporti episodi di vittimizzazione secondaria nei confronti di una donna, vittima di violenza, alla quale il nostro stato non è in grado di garantire i supporti materiali e psicologici necessari a farle maturare la consapevolezza della negatività di una situazione violenta ed a recuperare non solo la capacità di tutelare se stessa, ma anche il corretto rapporto con i figli minori. Questi ultimi infatti di certo non debbono essere esposti a situazioni di violenza all’interno della famiglia che danneggino la loro vita presente e futura.

La decisione della Cassazione è peraltro di sicuro interesse per gli operatori del diritto anche per altri versi, dato che la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso in quanto lo stesso risulta redatto in violazione dell’art.366 comma 2, n.3 c.p.c. non avendo effettuato neppure una sintetica descrizione della vicenda processuale , ne’ una sommaria indicazione degli aspetti di diritto delle proprie domande in primo e secondo grado , e neppure riportando il contenuto delle decisioni dei giudici primae curae.

L’esposizione sommaria delle vicende processuali pregresse non solo costituisce un requisito di forma-sostanza previsto dall’art.366 comma 2 n.3  c.p.c.  come detto dalle SU n.11653 del 2006 e successivamente più’ volte ribadito, esso risponde all’esigenza di permettere ai giudici di legittimità’ una conoscenza precisa dei fatti e delle posizioni delle parti del giudizio che consenta di conseguenza l’esatta comprensione delle censure mosse al provvedimento impugnato.

Di grande utilità era ed è per gli avvocati, onde evitare di vedersi dichiarati inammissibili i ricorsi, il Protocollo di intesa sottoscritto il 17 dicembre 2015 dalla Cassazione e dal CNF da integrarsi, dopo la riforma Cartabia, con il “Protocollo d’intesa sul processo civile in Cassazione” sottoscritto dalla Suprema Corte, dalla Procura generale della Cassazione, dall’Avvocatura dello Stato e dal CNF.


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