Studi legali e collaboratori

di Giovanni Schiavoni

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La Corte di Cassazione con la sentenza 22634 del 10.9.2019 è tornata ad occuparsi della natura del rapporto che si instaura tra libero professionista e un suo collaboratore. 

La Corte ha confermato la sentenza di Appello che  aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto in quanto il ricorrente aveva lavorato all'interno di uno studio professionale e, pur non possedendo il titolo di avvocato, aveva seguito i clienti e osservato le direttive del datore di lavoro- avvocato- che sottoscriveva gli atti; osservava un orario di lavoro imposto dall'organizzazione dello studio legale, aveva svolto mansioni di supporto a quelle dell’avvocato e sotto la vigilanza quotidiana di quest’ultimo.

La Corte occupandosi dello schema disciplinato dall’art. 2094 c.c. ha riaffermato il consolidato principio per il quale

costituisce elemento essenziale, e come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non soltanto al suo risultato”. 

Ha aggiunto che tale assoggettamento è “una modalità d’essere del rapporto potenzialmente desumibile da molteplici circostanze”. Nell’ipotesi in cui esso non possa essere agevolmente apprezzato, come nel caso di prestazioni di natura intellettuale e professionale, al fine della qualificazione del rapporto è possibile riferirsi ad altri elementi quali la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato, la percezione di un compenso prestabilito, l’assenza di rischio, etc. Elementi questi, ha precisato la Corte, a carattere sussidiario che “costituiscono indizi idonei ad integrare la prova di subordinazione” se complessivamente presi in considerazione. 

La Corte ha poi affrontato il delicato tema della natura autonoma o subordinata, delle prestazioni rese da un professionista, consulente fiscale,  in uno studio legale tributarista. 

La Corte Suprema, con la sentenza n. 3594/2011, aveva già precisato che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto di lavoro o autonomo o subordinato:

"la sussistenza o meno della subordinazione deve essere  verificata in relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui” (già in precedenza Cass. 11.5.2005 n. 9894).

La sentenza 22634/2019 ribadendo principi già noti, offre uno spunto per ulteriori riflessioni su tale fenomeno anche alla luce L. n. 247/2012 che ha ribadito il principio dell’incompatibilità della professione di avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato (art. 18 lett. d).

L’attuale situazione economica fa emergere tuttavia l’esistenza di figura di avvocato inserita in una struttura professionale senza propria clientela che necessità di regolamentazione giuridica. In tale prospettiva si potrebbe valutare l’ipotesi di forme di regolamentare forme di contrattazione tra singolo professionista e studi legali strutturati.  

Si rinvia per approfondimenti al pregevole scritto di Valeriano Vasarri Liberi professionisti o dipendenti? I giovani avvocati fra indipendenza, collaborazione e salariato”, in La previdenza Forense n. 1/2018 pagg. 17 e segg.ti.

Avv. Giovanni Schiavoni Delegato Cassa Forense 

 


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