SPECIALIZZAZIONI FORENSI, CERTIFICAZIONI DI QUALITÀ DEGLI STUDI LEGALI E “FALSI AMICI”

di Stefano Bigolaro

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Li chiamano “falsi amici”.

Sono parole o espressioni che, da una lingua all’altra, si assomigliano, sono perfino uguali.

E ti danno l’impressione di poterti fidare, di sapere cosa vogliono dire; invece ti ingannano, perché il significato non è lo stesso.

Non succede solo tra lingue diverse. Succede anche tra le professioni.

Per esempio: si chiamano specializzazioni sia quelle mediche, sia quelle forensi.

Ma non sono da confondere. Le specializzazioni mediche hanno una storia e un “peso” che a quelle forensi mancano: stanno solo ora faticosamente partendo e la loro natura risente della casualità giudiziaria e delle complicazioni che ne sono derivate.

Per dire: le specializzazioni mediche sono titoli rilasciati dalle Università, richiedono un lungo periodo di scuola (di solito cinque anni), sono in grado di far conseguire davvero un “salto” professionale e retributivo. Tutti caratteri che le specializzazioni forensi non hanno (assomigliando più a un “bollino di qualità”, come spesso si dice).

Si chiamano allo stesso modo, appunto, ma non funzionano allo stesso modo.

E risentono anche del crescente allontanamento tra due professioni -medici e avvocati- entrambe di rilievo costituzionale, ma che hanno avuto ben diverso sviluppo negli ultimi decenni (complice la disciplina dell’accesso universitario).

Se i numeri sono ora pressoché gli stessi -quello degli avvocati e quello dei medici in attività- le due professioni sono sempre più distanti tra loro nel rapporto tra domanda e offerta.

Cambia il contesto e le medesime parole non indicano più le stesse cose.

La certificazione di qualità, ad esempio, ha grande importanza nel mondo degli appalti.

È il riconoscimento, da parte di un organismo certificatore affidabile, che un operatore segue un modello organizzativo considerato valido. Negli appalti di lavori, in particolare, la certificazione di qualità è propedeutica all’attestazione SOA, necessaria per concorrere. Ma rileva anche negli appalti di servizi e forniture.

Però se il sistema della qualità viene esteso, non è detto che il senso rimanga lo stesso.

Così per le recentissime regole UNI 11871/2022, alla base della certificazione di qualità che potranno ora ottenere gli studi legali.

Lo scopo è meritevole: il miglioramento organizzativo e funzionale dello studio.

Benissimo, dunque, le regole UNI e uno studio potrà certamente rendere noto al “mercato” il fatto che le rispetta. Bene se in tal modo, riducendo i rischi organizzativi, si riducono i premi assicurativi per la responsabilità professionale.

È invece problematico attribuire alla certificazione di qualità un ruolo preclusivo o preferenziale nell’attribuzione degli incarichi legali da parte delle P.A.: non è infatti un elemento in grado di individuare chi renda una miglior prestazione legale.

E si finirebbe dunque per restringere indebitamente il mercato.

Il dato essenziale da considerare è che gli incarichi legali non sono appalti.

Ciò “alla luce delle loro caratteristiche oggettive”, dalla fiducia alla riservatezza del rapporto con l’avvocato: lo afferma con chiarezza la Corte di Giustizia UE (C – 264/2018).

Le prestazioni legali possono diventare oggetto di un appalto di servizi solo se la P.A. decide di acquistarle “in blocco”, richiedendo un “quid pluris” organizzativo (per usare le parole della nota sentenza Cons. Stato 2730/2012).

Se è così -cioè se c’è un appalto di servizi legali- la situazione cambia: la prestazione resa da un avvocato mantiene comunque i suoi caratteri, ma la qualità dell’organizzazione acquista rilievo e dunque si potrà considerare se quel che viene certificato rileva quanto ai fini perseguiti dalla stazione appaltante.

Nessun automatismo, insomma: se le cose sono diverse è importante distinguerle, senza farsi fuorviare dalle parole.


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