SANZIONE DISCIPLINARE AVVOCATO: LE PRINCIPALI CAUSE ATTENUANTI

di Riccardo Radi

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Quali sono le cause attenuanti della sanzione disciplinare dell'avvocato?

Un'interessante pronuncia del Consiglio Nazionale Forense del giugno scorso precisa gli elementi, oggettivi o soggettivi, che possono mitigare la sanzione applicata al collega che si sia reso responsabile di una violazione disciplinare.

La vicenda in particolare riguarda un'avvocata di Venezia sospesa per due mesi dal Consiglio di Disciplina della città lagunare.

Se nell'argomentare la decisione il CDD si limita a precisare che “le giustificazioni addotte dall’incolpata a sostegno del proprio comportamento non possono trovare accoglimento”; viceversa, secondo il CNF, quelle giustificazioni possono e debbono trovare spazio in quella che la sentenza definisce "la giusta dosimetria della sanzione". 

Gli elementi citati sono tra le altre cose "il grado non particolarmente elevato della colpa e l’assenza di dolo o intento fraudolento, la correttezza del comportamento precedente e successivo ai fatti, le vicende personali e professionali dell’incolpato nel periodo considerato, la ridotta gravità o l’assenza del danno per l’esponente, l’intervenuto risarcimento del danno, l’ammissione di responsabilità e il rammarico espresso per l’accaduto, il ravvedimento operoso, la mancata compromissione dell’immagine della professione forense, la commendevole vita professionale, l’insussistenza di precedenti disciplinari”.

Scendendo nel dettaglio, la vicenda narrata riguarda una collega inizialmente sospesa per 2 mesi dal Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense di appartenenza, che non aveva considerato minimamente la particolare situazione familiare e professionale in cui era avvenuto il fatto esposto e la correttezza del comportamento precedente e successivo ai fatti. 

Come la protagonista evidenzia nel suo ricorso al CNF, il CDD avrebbe dovuto invece tenere conto del comportamento leale e collaborativo tenuto nel corso del procedimento disciplinare, sostanzialmente confermando le enunciazioni fattuali dell’esponente e quindi ammettendo gli addebiti.

Condotte tuttavia parzialmente giustificate dal periodo drammatico della vita personale della ricorrente, i cui riflessi avevano coinvolto anche l'attività professionale della collega, che aveva interrotto le comunicazioni in àmbito professionale, demandando ad altri colleghi la gestione delle pratiche.

Questo a causa di una grave patologia che aveva improvvisamente colpito il marito, con forti ripercussioni sulla vita familiare in presenza di un figlio molto piccolo, all’epoca - nel febbraio 2016 - di appena 4 anni. 

Insensibile al contesto eccezionale, il CDD di Venezia aveva stabilito sic et simpliciter che “le giustificazioni addotte dall’incolpata a sostegno del proprio comportamento non possono trovare accoglimento”. Valutazione non condivisa dalla sentenza 111 del 25 giugno 2022 del Consiglio Nazionale Forense: “Per la giusta dosimetria della sanzione, e in particolare ai fini di un’eventuale mitigazione della stessa - si legge nella pronuncia - tra le altre cose rilevano il grado non particolarmente elevato della colpa e l’assenza di dolo o intento fraudolento, la correttezza del comportamento precedente e successivo ai fatti, le vicende personali e professionali dell’incolpato nel periodo considerato, la ridotta gravità o l’assenza del danno per l’esponente, l’intervenuto risarcimento del danno, l’ammissione di responsabilità e il rammarico espresso per l’accaduto, il ravvedimento operoso, la mancata compromissione dell’immagine della professione forense, la commendevole vita professionale, l’insussistenza di precedenti disciplinari”.


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