Cassa Forense privata ma anche non
25/06/2013
Stampa la paginaIl quale ultimo, mai come in questa occasione dimostra di non possedere alcuna terzietà e peraltro di come in una sentenza in Italia oramai si possa abbracciare qualsiasi percorso giuridico, spalleggiato da un ente amministrativo come l’Istat, divenuto de facto nella fattispecie legislatore. I nostri padri costituenti rabbrividirebbero nel rileggere ciò che è accaduto nella penombra. Così come ben riassume la sentenza dei giudici amministrativi capitolini, sino a consacrare ciò che giuridicamente inquieta.
Per chiarezza occorre tornare indietro di 20 anni. Le Casse previdenziali sono ritenute pacificamente private ed autonome sin dal 1994, per effetto del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) (G.U. n. 196 del 23-8-1994) che le ha appunto trasformate da “pubbliche” in private.Con l’art. 1 (Enti privatizzati) d.lgs. 509/94 si è sancito che “1. Gli enti di cui all'elenco A allegato al presente decreto legislativo sono trasformati, a decorrere dal 1° gennaio 1995, in associazioni o in fondazioni (…) a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario.” Col secondo comma che “2. Gli enti trasformati continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato”. Col terzo comma che “3. (…) Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali.”
In virtù dell’art. 2 (Gestione) è statuito che “1. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.” Il quarto comma prevede che “4. In caso di disavanzo economico-finanziario (…) si provvede alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione.” Il quinto comma che “5. In caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, ed accertata l'impossibilità da parte dello stesso di poter provvedere al riequilibrio finanziario dell'associazione o della fondazione (…) é nominato un commissario liquidatore (…)”. L’art. 3 (Vigilanza) spiega che le Casse sono vigilate e non controllate: “1. La vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'art. 1 è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'art. 1, comma 1. Nei collegi dei sindaci deve essere assicurata la presenza di rappresentanti delle predette Amministrazioni.” E al comma quinto che “5. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia, e riferisce annualmente al Parlamento.”
Alla luce di ciò emergeva, secondo tutti e senza dubbio alcuno, che con il d.lgs. 509/1994 le Casse private avessero assunto personalità giuridica di diritto privato e fossero divenute dunque private e autonome, pur gestendo una materia (la previdenza) dotata di indiscutibile allure pubblico. Infatti ciò è richiamato pure nell’art. 2 attesa la “natura pubblica dell'attività svolta”. Ma se la previdenza è materia “pubblica” ciò non ha mai consentito di ritenere le Casse private come pubbliche, assoggettate a tutta una serie di controlli pubblici, dunque particolarmente invasivi tali da togliere o svuotare l’autonomia dell’ente.
Dall’ultima sentenza emerge invece tale visione capovolta, in aperto contrasto con la scelta intrapresa nel 1994, ma senza che il legislatore lo abbia apertamente sancito.
Le Casse previdenziali private si sorreggono infatti esclusivamente sui contributi dei propri iscritti, non hanno alcun finanziamento pubblico, subiscono una doppia tassazione che non ha eguali in Europa ed amministrano un patrimonio attuale di oltre 50 miliardi di euro (destinato a crescere nei prossimi anni anche di 10 volte). Ed è certo il patrimonio – che pure serve a garantire le pensioni – a suscitare l’interesse dell’ingordo legislatore, a spese dei liberi professionisti intellettuali.
Il Collegio romano osserva ora che, a differenza delle precedente pubblicazione Istat con cui l’ente economico ha irritualmente inserito le Casse previdenziali nell’elenco delle Pubbliche Amministrazioni, con l’art. 5, comma 7, d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, in l. 26 aprile 2012, n. 44) (1) che ha modificato l’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, i due elenchi ISTAT del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 sono stati “cristallizzati” in legge, con ciò perdendo la loro connotazione provvedimentale ed assurgendo a norma di rango primario. In pratica l’Istat è divenuto un legislatore delegato di fatto e poi il delegante ha ratificato la scelta. Una mostruosità giuridica. In particolare osservando che “La norma da ultimo citata, invero, dopo la modifica intervenuta ad opera del richiamato d.l. n. 16/12, prevede: “Ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228, e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo, effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.
Talché, continua il collegio, “Il legislatore ha quindi ritenuto di attribuire “con legge” la natura pubblica agli enti indicati nei predetti elenchi e l’interprete, di fronte ad una qualificazione espressa in tal senso mediante uno strumento primario di legificazione, non può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa, a sua volta sindacabile solo nei limiti dell’irragionevolezza sotto eventuali vari profili, accertabile come noto però solo dal “giudice delle leggi”. (…) Il Collegio rammenta a tale proposito che, solo laddove non sia esplicitamente indicata la natura pubblica dell’organismo, la dottrina e la giurisprudenza insegnano che deve farsi riferimento ai c.d. “indici rivelatori della pubblicità” attraverso un’analisi in concreto della struttura, delle modalità di funzionamento e di finanziamento, dei controlli, il cui esito può portare o meno ad una qualificazione pubblicistica dell’ente, con conseguente applicazione della normativa (pubblicistica) di riferimento. Così come è noto, peraltro, che, anche a fronte di una qualificazione privatistica di un ente, non si esclude che questo possa comunque essere assoggettato a singole previsioni di carattere pubblicistico, come spesso avviene per quelle di derivazione comunitaria. (…) Non vi è, poi, alcuna violazione dell’art. 23 Cost., in quanto non risulta imposta alcuna prestazione patrimoniale con il “meccanismo” di cui alle richiamate norme della l. n. 196/09 e del d.l. n. 95/12, come convertito in legge, ma solo una redistribuzione delle risorse di finanza pubblica.”
Il Tar Roma richiama a sostegno di ciò la precedente sentenza del Consiglio di Stato, 28 novembre 2012, n. 6014 (2) con cui i giudici di Palazzo Spada hanno legittimato il comportamento dell’Istat, il quale senza motivazione alcuna e senza che ciò sia di sua competenza, decide ad libitum chi sia Pubblica Amministrazione e chi no. In pratica l’Istat si è autoattribuito un potere feudale, con il pieno assenso dei giudici amministrativi e l’entusiastico consenso del legislatore, chiamato a ratificare. Se tutto ciò non accadesse in un Paese considerato la culla del diritto, potremmo anche non stupirci.
E’ evidente come il Consiglio di Stato sia stato definitivamente tranchant delle tesi prima espresse dal giudice di merito. (3)
Possiamo dunque riassumere la situazione ora “cristallizzatasi” in tal modo: a) nel 1994 il legislatore ha trasformato le Casse previdenziali dei liberi professionisti da pubbliche a private, riconoscendo la loro piena autonomia, pur ricordando la funzione “pubblica” della previdenza. A tale scopo le Casse non sono ex lege controllate ma “vigilate”, con una notevole differenza sostanziale, e non sono in alcun modo finanziate dallo Stato ma addirittura assoggettate a prelievi fiscali di dubbia legittimità (dalle rendite finanziarie sino alla spending review). Si sorreggono dunque esclusivamente sui contributi e sulle rendite, dunque anche sulla buona amministrazione di chi le governa e di chi vi legifera. b) dal 2006 il legislatore inizia un’opera di erosione (anche grazie all’Istat) dell’autonomia delle Casse private (e della professione forense in particolare) perché lo Stato è in default e perché si vuole controllare un ingente patrimonio, dapprima solo vigilato; c) nel 2012-13 v’è il suggello che il legislatore ha cristallizzato ciò che l’Istat aveva deciso amministrativamente, così di fatto trasformando le Casse da private in pubbliche, in contrasto con quanto statuito dal d.lgs. 509/94.
A questo punto ci si domanda quale sia il prossimo passo: l’accorpamento delle Casse “private” con l’Inps? Machiavelli avrebbe molto da imparare nell’osservare gli ultimi anni della nostra storia.
Avv. Marcello Adriano Mazzola - Delegato di Cassa Forense