AVVOCATA E MAGISTRATA, QUANDO IL LINGUAGGIO AIUTA LA PARITÀ DI GENERE

di Debora Felici

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Avvocata, magistrata, sindaca, ministra. Si sente spesso dibattere sull’uso al femminile dei termini che indicano qualifiche professionali e mestieri.

Non c’è una scelta giusta e una sbagliata dal punto di vista linguistico. A dircelo è Luca Serianni, tra i più autorevoli linguisti italiani, già membro dell'Accademia della Crusca e vicepresidente della Società Dante Alighieri, docente emerito di Storia della Lingua italiana all'università La Sapienza di Roma: “Dal punto di vista linguistico, dire e scrivere avvocata, come del resto sindaca o ministra o prefetta, è correttissimo.” E ci ricorda che a Napoli c’è un quartiere che si chiama Avvocata, in riferimento a Maria, definita nelle preghiere “Avvocata nostra”.

Serianni precisa che la regola non vale per le qualifiche che derivano da participi presenti e non da sostantivi, come “presidente”, cioè colui o colei che presiede, che non sarebbe corretto volgere al femminile (L. Serianni, Globalist.it  3 settembre 2020).

Fa notare Serianni che spesso sono le donne a non voler essere chiamate avvocata, magistrata, sindaca. La questione si sposta allora dal piano linguistico al piano culturale.

La Presidente dell’Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio, evidenzia l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l’accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocatessa, architetta, magistrata, ecc.), così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali  quali ad esempio quello dell’infermiera, della maestra, dell’operaia, dell’attrice, ecc. (N. Maraschio, La Crusca risponde: il ministro o la ministra?, www.accademiadellacrusca.it).

L’indicazione della Maraschio è contenuta anche nella “Guida agli atti amministrativi”, pubblicata dal gruppo di lavoro formato dall’Accademia della Crusca e dall’Istituto di Teoria e Tecnica dell’Informazione Giuridica del Consiglio Nazionale delle Ricerche ITTIG-CNR, che contiene regole e suggerimenti utili affinché gli atti amministrativi risultino più semplici e comprensibili.

Da oltre un decennio siamo consapevoli che la pubblica amministrazione deve essere un sistema omogeneo e interconnesso, e con questo intento è nato il Codice dell’amministrazione digitale, che si fonda sul principio della interoperabilità dei dati. La Guida agli atti amministrativi va nella stessa direzione, nel presupposto che gli standard linguistico-documentari agevolino l’interoperabilità ancor prima di quelli tecnico-informatici.

La Guida, per i nomi di mestiere, i titoli professionali e i ruoli istituzionali suggerisce di usare il genere maschile e il genere femminile in base al genere del referente e fa notare che tutti i nomi di mestiere, di professione e di ruolo possono avere la forma femminile: operaio/operaia, sindaco/sindaca; assessore/assessora; segretario generale/segretaria generale, ecc. Da evitare, invece, perché non corretto dal punto di vista grammaticale, l’uso dell’articolo femminile seguito dalla forma maschile, ad es. la sindaco.


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