GREEDY WORK E PARITÀ DI GENERE
19/10/2024
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Per Claudia Goldmin, la parità di genere e l’equità di coppia possono essere raggiunte solo se cambia il modo in cui si concepisce il lavoro.
Secondo la studiosa, che ha ricevuto nel 2023 il Premio Nobel per l’economia (terza donna a vincere questo premio) e, nel 1990, è stata la prima a ottenere una cattedra all’Università di Harvard, il maggior attaccamento degli uomini alla realtà produttiva, in particolare nel settore legale e finanziario “senza orario”’, penalizza, sul piano economico, le donne che rinunciano ad ore lavorate per dedicarsi alla dimensione familiare (M. Vitaletti, https://www.labourlawcommunity.org/).
Direttiva europea 2019/1558 equilibrio lavoro famiglia
Anche nella direttiva europea 2019/1558 si afferma che «l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare costituisce una sfida considerevole per molti genitori e lavoratori con responsabilità di assistenza, in particolare a causa della crescente prevalenza di orari di lavoro prolungati e di orari di lavoro che cambiano, il che ha un impatto negativo sull’occupazione femminile (…). Quando hanno figli, le donne sono propense a dedicare meno ore al lavoro retribuito e a dedicare più tempo all’adempimento di responsabilità di assistenza non retribuite».
Nel volume “Career & Family: Women’s Century-Long Journey Toward Equity”, Goldin sottolinea senza mezzi termini: “Una singola azienda che viene bonariamente redarguita per le sue politiche interne, una donna che riesce a entrare in un consiglio di amministrazione, un manipolo di giovani e progressisti dirigenti del settore tecnologico che prende il congedo di paternità non sono soluzioni, ma l’equivalente economico di lanciare una scatola di cerotti a un malato di peste bubbonica”.
Greedy work
Il problema è particolarmente rilevante in quei settori di lavoro che Goldin definisce “avidi” (greedy work) in termini di orario, dove si premiano economicamente e in termini di opportunità di carriera in maniera sproporzionata l’ammontare delle ore richieste, lo stretto contatto con i clienti e/o gli assistiti e le centralità dei rapporti personali. Quando i salari sono connessi essenzialmente al tempo impiegato al lavoro, nelle relazioni affettive potenzialmente paritarie la rinuncia di entrambi i genitori produrrebbe un impoverimento generale sul piano economico (Y. Brilli, https://unive.it).
La coppia, spiega Goldin, per risolvere il problema, tende a reiterare comportamenti sociali diffusi che consentono al mercato di rimanere efficiente e sarà la donna lavoratrice a rinunciare a maggior ore di lavoro. Nelle coppie dove la donna è una lavoratrice più istruita e di elevata professionalità, tendenzialmente si sceglie di redistribuire i compiti familiari su altre donne a basso salario i compiti di cura, replicando comunque lo schema di genere.
La studiosa esamina in particolare i settori legale e farmaceutico che, fini ad alcuni anni fa, presentavano analoghi tratti di “avidità oraria”, pagando in misura consistente per invogliare i dipendenti a lavorare più ore e con orari irregolari e spesso imprevedibili (C. Agostoni, https://www.secondowelfare.it).
Negli ultimi anni l’evoluzione interna del settore farmaceutico ha fatto sì che oggi un farmacista sia facilmente intercambiabile con un altro. Ciò evita che i professionisti siano necessariamente costretti a lavorare molte ore e ad avere orari irregolari e ha comportato l’ulteriore positivo risultato di far scomparire la differenza di retribuzione oraria per chi lavora part time.
Smart working per superare il gender gap
Secondo Goldin, la diffusione di modelli “meno avidi” di tempo lavorativo può rivelarsi vincente per contrastare il divario di genere.
Su questa linea si è recentemente mosso un noto studio legale italiano, presente in oltre 40 paesi, che ha offerto a una delle proprie collaboratrici, divenuta mamma, di lavorare in smart working. Nell’intervista rilasciata ad un noto quotidiano nazionale, un partner dello studio ha commentato: «La presenza fisica non è determinante per la qualità dell’impegno. La produttività c’è se si lavora per obiettivi. Si mette al centro la fiducia». L’esperimento della nuova modalità di collaborazione professionale si è rivelata molto utile per la professionista in smart working, che ha particolarmente apprezzato il cambiamento di mentalità e nel rapporto tra colleghi: «Sto trovando sostegno e supporto da tutti. C’è chi persino mi sostituisce nelle trasferte. Una collaborazione senza pari è stato il riscontro più bello».
Smart working di genere? No, grazie!
Non basta introdurre elementi di flessibilità della modalità lavorativa, per la parità di genere occorre un cambiamento culturale in grado di ribaltare il tradizionale e ancora diffuso schema di genere lavoro-cura della famiglia.
Come sottolinea la ricerca “Smart working di genere? No, Grazie”, lo smart working non va considerato uno strumento di welfare o una misura per i soggetti “fragili” ma una leva di innovazione in grado di cambiare il paradigma organizzativo (Fondazione Barberini).
Se pensato e utilizzato da tutti, donne e uomini, per migliorare la qualità della vita, accrescere il tempo libero, risparmiare tempo per gli spostamenti e facilitare la cura familiare, allora lo smart working può realmente divenire elemento chiave per incrementare l’employability femminile e la parità di genere.