Lex Cincia de donis et muneribus
18/10/2012
Stampa la paginaPer comprendere la ragione dell’inserimento di una norma riguardante i compensi professionali degli avvocati in una legge che disciplinava le donazioni, occorre ricordare che in origine all’avvocato non era dovuto alcun compenso.
Molti (o Monti) sembrano vagheggiare il ritorno a quelle origini.
Nel terzo secolo a.C. la prestazione d’opera intellettuale non era fonte di obbligazione al pagamento di un compenso, perché non realizzava una locatio (non era una locatio operis, difettando il requisito della materialità dell’opus; né una locatio operarum, difettando il requisito della subordinazione).
Tuttavia era invalso l’uso per cui il cliente era solito onorare il dominus con un dono. Ecco l’origine del termine onorario.
Con il tempo il deterioramento dei costumi aveva reso obbligatorio tale “dono”, ed aveva indotto taluni avvocati a pretendere “doni” sempre più cospicui, ed a subordinarvi il loro impegno nei processi.
Tanto che i tribuni della plebe avevano sentito la necessità di regolare la materia.
Così il tribuno Marco Cincio Alimento nel 204 a. C. si rendeva promotore di un plebiscito noto appunto con il titolo di Lex Cincia de donis et muneribus.
La legge, come detto, regolava le “donazioni” introducendo (tra l’altro) il divieto di donazioni tra coniugi (anche per evitare eccessivi frazionamenti dei patrimoni); ed annoverava tra i “doni” vietati anche quelli che oggi definiamo compensi professionali.
La ratio - allora come ora - doveva essere quella di porre rimedio al costo eccessivo della giustizia.
Ma la Lex Cincia non si mostrava troppo efficace, posto che era una lex minus quam perfecta: dettava il precetto, ma non prevedeva la sanzione.
Non prevedeva la nullità degli atti in violazione, né comminava sanzioni; si riduceva ad una affermazione di principio.
Tale situazione durava un paio di secoli.
Finché sotto Augusto un senatusconsulto introduceva una sanzione pecuniaria pari a quattro volte l’importo dell’onorario indebitamente percepito dall’avvocato.
Ma sotto Claudio finalmente era formalmente riconosciuta la liceità del compenso professionale, introducendo però un limite - oggi diremmo “un massimo tariffario” - di 10.000 sesterzi (che non so tradurre in valore attuale), superato il quale l’avvocato poteva essere accusato di “concussione”.
Avv. Guglielmo Preve - Delegato di Cassa Forense