"Lavorare stanca", ma dà dignità

di Nicolino Zaffina

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Stiamo sicuramente assistendo, da troppo tempo, ad una perdita di capitale umano e sociale incalcolabile e, quello del lavoro, è senza dubbio uno degli snodi fondamentali della nostra esistenza.

Il lavoro, prima ancora di essere fonte di "guadagno", è la radice della dignità del singolo individuo, strumento per dare un senso alla sua vita e orientarne il futuro.

Le stesse ideologie politiche, economiche e filosofiche che hanno caratterizzato e dominato il secolo scorso, pur se in maniera diversa fra loro, hanno messo al centro il lavoro in quanto tale, elevandolo a "valore", incomparabile modo per l’essere umano di nobilitarsi e manifestarsi compiutamente.


E così se, riguardo al tema "lavoro", le ideologie di stampo liberista hanno posto l’accento sul "mercato", ove il lavoro diventa "bene" e la sua retribuzione "prezzo", quelle di stampo socialista hanno, invece, messo sempre all’indice lo sfruttamento del lavoro, denunziando gli irrigidimenti e le alienazioni del sistema capitalistico.

Entrambe queste ideologie però, a ben vedere, hanno inteso il lavoro come "sostanza" dell'uomo.


La vita umana senza lavoro è vita persa, spenta, vita senza dignità. Lo dimostrano i suicidi che hanno stroncato la vita e la speranza di tanti imprenditori e lavoratori: segnale evidente che, senza l’appannaggio del lavoro, senza mercato e senza impresa, non si ha libertà.

La vita stessa perde di umanità e viene percepita come inutile, banale.
Non trovare lavoro o, peggio ancora, perderlo, vuol dire rimanere ai margini, star fuori da qualunque avvenimento possa servire a dar pregio e, appunto, "individuare".


Ma cosa succede al "lavoro" in questo scorcio di secolo? Quale il tema dell’oggi?


Di certo il vero problema non è più la mera critica al capitalismo e alla natura alienante del lavoro, ma l’irrompere nelle nostre vite di una "economia virtuale", soggiogata dal primato della finanza e che ha fatto svanire quella “reale”, impostata sulla centralità dei "beni", tra cui quello primario del lavoro umano. Alla cultura del lavoro, costruita nella lunga fatica di una vita, è subentrata quella del miraggio finanziario, che porta profitti facili e senza fatica, nel breve periodo e non nel lungo termine.

Il profitto senza lavoro insomma, quello che si auto genera dal danaro, senza bisogno di "faticare",.

Una prospettiva completamente rovesciata rispetto al secolo scorso: il profitto non viene più dal lavoro che, pertanto, cessa di essere "valore".


Al tempo di oggi, dunque, il lavoro è sempre più precarizzato, percepito quasi come superfluo perché non serve ad arricchirsi: la causa di tutto ciò non può che ricercarsi nel suo declassamento rispetto al surreale predominio della finanza.


E, quando il profitto arriva solo dal denaro, quando è il denaro a riprodurre se stesso all’infinito, il lavoro non paga più, non vale più. Non serve ed a rimetterci sono i più deboli, i non abbienti, ossia coloro che non hanno null’altro che la propria "forza-lavoro" e, tra questi, primi fra tutti i professionisti dell’intelletto e, più degli altri, gli avvocati.


Si assiste così ad una crisi delle professioni e delle vocazioni: i giovani vanno alla ricerca del "tutto e subito", la cultura dominante non conferisce loro la forza, né l’esempio, per investire nel lungo periodo ed in maniera convinta nella cultura e, dunque, su se stessi.

Il sensibile e progressivo calo degli iscritti nelle nostre università e, ancor più, di laureati, è assai eloquente e, nel medio-lungo periodo, non potrà che comportare un generale impoverimento del nostro Paese. Il calo è ancor più vistoso se si prende a riferimento il solo dato dei neolaureati nelle facoltà di giurisprudenza, passati dagli oltre 20.000 all’anno dei primi anni 2000, a poco più di 5.000 annui nell’ultimo quinquennio.


Sono però ancora tanti i liberi professionisti e gli avvocati nel nostro Pese ma, ci si chiede, sono ancora tutti vocati? Sono tutti disposti a formarsi per anni ed irrobustirsi per credere in una ripresa che sia culturale prima ancora che economica? Quanti tra i giovani liberi professionisti sarebbero disposti a scambiare vent’anni di sicuro "apprendistato" per un posto fisso a “tot euro al mese”, senza troppi rischi?

Ricordiamoci che la vita di un avvocato, così come quella di un qualsiasi altro professionista intellettuale, ha in sé due variabili che spesso sono anche imponderabili: la capacità di credere in se stessi e formarsi giorno per giorno, senza abbattersi mai, e la buona sorte, che vale per tutti, a maggior ragione per chi non ha mezzi diversi dal proprio intelletto e dalla propria capacità di applicazione.


Ne vale ancora la pena dunque? Certamente si.

Un si convinto e determinato, che valga anche da incoraggiamento per i tanti giovani spaesati e privi di maestri in grado di segnare la via, indicare la strada. E’ la generazione dei padri che deve accompagnare i giovani in questo percorso, "I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. È con questo animo quindi, giovani, che mi rivolgo a voi: non armate la vostra mano. Armate il vostro animo" (Sandro Pertini, dal discorso di fine anno del 31 dicembre 1978).


Ed allora un incoraggiamento ai giovani avvocati. Il nostro lavoro non promette facili guadagni, non ci sono utopie da rincorrere, non ci sono clienti da accaparrarsi, ma tanti diritti da tutelare e che senza di noi rimarrebbero indifesi. E per questo val la pena andare avanti, rinnovare gli sforzi, perché "molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l'avvocato no.

L'avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l'avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sè, assumere su di sè i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L'avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità" (Pietro Calamandrei).


Tutti insieme dobbiamo riprendere slancio, essere davvero orgogliosi del nostro "lavoro" e metterci il cuore, che è ancora il muscolo più importante per un Avvocato.

Avv. Nicolino Zaffina - Direttore Editoriale di CFNews


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