L'attività professionale dell'avvocato e profili previdenziali
22/03/2013
Stampa la paginaNella decisione citata, la Suprema Corte ha ritenuto che l'attività di consigliere di amministrazione di una società di capitali non sia automaticamente ricollegabile all'esercizio della professione forense: conseguentemente – in relazione alla specifica fattispecie - decide che i relativi redditi non potevano essere soggetti a contribuzione a favore della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Nel caso di specie la Corte del Merito aveva dato grande rilievo alle sporadiche partecipazioni del professionista alle sedute dell'organo collegiale e al fatto che, dalle acquisizioni di causa, risultava che le delibere assunte erano attinenti ad attività "industriale della società" e non a quella in qualche modo legale.
La Cassazione non ha ravvisato nella pronuncia ricordata vizi o errori che ne imponessero la censura.
Ci si deve domandare: quale attività del professionista avvocato deve essere considerata attività professionale: quella svolta nell'esercizio delle sue funzioni tipiche o quella rientrante comunque nelle sua attività di legale o quella per cui egli usa le sue capacità professionali?
Sempre secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione si deve valutare il concetto di “attività professionale”, non solo con riferimento alle attività giudiziarie o legali in senso stretto, ma anche con riferimento a quelle attività che si fondano sulla qualità professionale e sulle cognizioni acquisite, che permettono di far valere in molti campi le specifiche competenze e cognizioni proprie del libero professionista avvocato.
Il Supremo Collegio ha sempre dimostrato di saper valutare e di tenere nel giusto conto, anche per i riflessi previdenziali, l’evoluzione della professione legale nel mondo moderno, nel quale i professionisti stanno occupando tutta una serie di spazi, “inesistenti nel quadro tipico iniziale".
Sempre secondo la Cassazione si deve prendere atto che, accanto all’attività professionale in senso stretto, vi è una operatività professionale, interpretata in senso non statico, bensì tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo attuale dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali.
Ne consegue che l'attività si reputa presentare un "nesso" con l'attività professionale strettamente intesa, quando utilizza le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente nell'esercizio si avvale dell'attività tipica e nel cui svolgimento quindi mette a frutto la specifica cultura che gli deriva dalla formazione “tipo”, logicamente propria della professione.
Anche ai fini previdenziali, occorre riconoscere che esiste un intreccio tra le varie attività e le conoscenze tipiche del professionista, come è stato riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 1991/402. In tale decisione si parla di “attività forense espressamente riconducibile all’attività dell’avvocato”, ma la Corte aggiunge “non è da sottacersi, peraltro, che l’esercizio della professione legale è andata assumendo nel contesto sociale delle esigenze che abitualmente vi si riconnettono, a connotazioni più ampie nel quadro del patrocinio previsto dal codice di procedura civile“. L’attività si espande a molteplici campi di assistenza contigui, per ragioni di affinità al patrocinio professionale in senso stretto”.
Se ne deve concludere che le prestazioni “contigue” per ragioni di affinità a quelle libero professionali in senso stretto, devono essere assoggettate ai regimi fiscali e previdenziali tipici e quelle invece che non trovano le loro radici e il loro supporto nelle specifiche conoscenze professionali ne restano escluse.
L’attività professionale può svolgersi anche attraverso la partecipazione agli organi societari (tenendo sempre presenti le eventuali diverse problematiche d’incompatibilità) ma il compenso relativo può essere assoggettato a contribuzione previdenziale solo se risulti che l’attività in concreto svolta dal professionista abbia natura professionale, sia cioè riconducibile ai contenuti dell’attività propria della libera professione.
Occorre, infine, rilevare che la questione, nel tempo, ha assunto meno rilevanza dopo l’entrata in vigore della legge n. 335/95, di riforma del sistema previdenziale. Ogni attività lavorativa, - salvo non si tratti di attività occasionale e con redditi modestissimi -, deve, secondo la legge, avere una copertura assistenziale e previdenziale e, in caso di attività lavorative e professioni non regolamentate sotto il profilo previdenziale, tale copertura è assicurata dalla gestione separata dell’Inps, di carattere residuale.
Sotto un profilo squisitamente pragmatico, pertanto, anche attività magari considerate border line con l’attività strettamente professionale richiedono l’iscrizione ad un ente previdenziale.
Avv. Cecilia Barilli - Delegato Cassa Forense