La previdenza forense tra privato e pubblico

di Alberto Bagnoli

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In realtà il viaggio intrapreso verso la piena autonomia privata della Cassa è stato difficoltoso e seminato di insidie, ed ancora oggi appare lontano dal raggiungere l’approdo finale.
La dottrina sull’argomento in passato ha dubitato che si trattasse di vera privatizzazione, e ciò non tanto per l’obbligatorietà della contribuzione, ovvero per la vigilanza governativa, ma invece per il controllo sulla gestione (bilanci, investimenti, criteri direttivi generali) che attrae l’ente nella categoria comunitaria degli organismi di diritto pubblico, con tutti i vincoli che ne seguono.
Sul piano normativo un notevole ampliamento dell’autonomia della Cassa è scaturito dalla Legge finanziaria 2007 che all’art. 1 comma 763 ha rimosso ogni vincolo all’adozione di modifiche statutarie e regolamentari, deliberate appunto in piena autonomia dall’ente; autonomia che discende direttamente dalla devoluzione della funzione previdenziale a organi predisposti dallo Stato come previsto dall’art. 38 della Costituzione, esclusi da ogni forma di contributo pubblico diretto o indiretto. In coerenza con la nuova disciplina la sentenza della Corte di Cassazione n. 24202 del 2009 ha affermato che l’autonomia normativa delle casse professionali si estende al potere di abrogare o derogare a norme di legge, anche tacitamente, in sede di adozione di provvedimenti finalizzati all’obiettivo dell’equilibrio di bilancio.


Ma a partire dal 2011, in concomitanza ad una grave crisi economica e finanziaria, vari interventi normativi e giudiziari hanno reso ancora più incerto l’ambito di autonomia riconosciuto alla Cassa, mettendo in dubbio talvolta il carattere privatistico dell’ente.
Con le manovre estive del 2011 si è intervenuto sulla previdenza, imponendo (dl 98/11 art. 18) che i soggetti già pensionati, ove produttori di reddito, siano obbligati all’iscrizione ed alla contribuzione, con un minimo pari alla metà del contributo ordinario per gli iscritti attivi, senza alcun diritto a maggiorazioni del trattamento previdenziale.
Lo stesso dl 98/11 ha attribuito alla COVIP, ente di vigilanza dei fondi pensione complementari, il controllo sugli investimenti finanziari e sulla gestione del patrimonio della Cassa, con poteri ispettivi.
Con la legge 111/11, art. 32, si è ribadito in via di interpretazione autentica che, in ragione della contribuzione obbligatoria percepita, le Casse non possono essere escluse dalla categoria degli organismi di diritto pubblico, ai quali si applica il Codice dei contratti pubblici, e ciò nonostante il disposto del dl 162/2008 che espressamente aveva escluso le Casse da tale disciplina.
Con il dl 201/11, art. 24 comma 24 (“legge Fornero”), con una norma che si riferiva alla riduzione della spesa pensionistica pubblica, si è imposto alla Cassa di adottare misure per assicurare l’equilibrio di bilancio da 30 a 50 anni, facendo riferimento ai saldi previdenziali, senza tener conto dei patrimoni e dei relativi rendimenti. La Cassa, con il bilancio tecnico straordinario del 2012, ha dimostrato di essere in equilibrio finanziario per 50 anni, apportando alcune modifiche alla riforma del sistema previdenziale appena varato nel 2010.
Sempre nel 2011 Cassa Forense viene inserita dall’ISTAT nell’elenco degli enti rientranti nell’ambito del conto consolidato dello Stato, come le Amministrazioni pubbliche. Tale inserimento, ha consentito al legislatore nazionale di estendere alla Cassa discipline proprie della finanza pubblica e comunque valide per il contenimento della spesa delle pubbliche amministrazioni, ed in particolare quelle sul blocco delle retribuzioni del personale dipendente.


Nel 2012 invero il TAR Lazio, cui le Casse si sono rivolte, con la sentenza n. 224 ha annullato tale inserimento nell’elenco ISTAT, al pari delle p.a.
Ma nello stesso 2012, per vanificare la lucida ed ineccepibile ricostruzione del TAR romano, dapprima è intervenuta la legge n. 44, art. 5, che ha “legificato” l’elenco ISTAT, prevedendo che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti inseriti a fini statistici negli elenchi dell’ISTAT. In applicazione di tale regola normativa, quindi, alla Cassa è stata estesa la c.d. “spending review”, e cioè il contenimento della spesa mediante riduzione dei consumi intermedi del 5% e poi del 10%. Con la differenza che per le p.a. tale risparmio era reale, mentre per la Cassa era soltanto nominale, dato che i relativi importi devono essere versati all’erario (e quindi senza alcun risparmio effettivo, ma con una confisca vera e propria di risorse finanziarie).
Sempre nel 2012 il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6014, ha riformato la sentenza del TAR Lazio n. 224, convalidando l’inserimento nell’elenco ISTAT.
Dunque non più natura privata, ma “natura pubblica” della Cassa con il rischio incombente che le risorse destinate alla previdenza professionale possano essere ricondotte al cumulo con quelle destinate a fini generali, con l’unificazione dei patrimoni in capo alla gestione pubblica.
Il principio è stato ulteriormente ribadito e rafforzato dal TAR Lazio con la sentenza n. 5938 del 2013.
Come se non bastasse, con dm 27.3.2013 il MEF ha stabilito che i bilanci di previsione delle Casse dovranno uniformarsi ai criteri adottati dalle p.a. e quindi sviluppare una programmazione del budget economico su base triennale e annuale, con un rendiconto finanziario in termini di liquidità ed un conto consuntivo in termini di cassa. Trattasi di un’omogeneizzazione contabile, che rischia però di avere gravi ripercussioni negative sugli equilibri della Cassa, anche per la necessità di dover adottare onerose (in termini di costi e di impiego di personale) misure di revisione della gestione amministrativa e di tutti i sistemi di supporto informatico.


Tutto ciò vanificando l’originaria previsione del dlg 509/94 secondo cui la Cassa non può percepire finanziamenti pubblici diretti ed indiretti.
Mentre il quadro normativo sembra dunque consolidarsi nella direzione di un ritorno alla natura pubblica della Cassa, quanto al profilo gestionale e finanziario, con salvezza del potere autonomo, organizzativo e regolamentare in materia di prestazioni previdenziali ed assistenziali, la giurisprudenza continua a registrare posizioni alterne. Infatti contrariamente al giudice amministrativo Cassazione e Tribunale di Roma nel 2012 e nel 2013 hanno riaffermato la natura privata della Cassa sia pure ai fini del riconoscimento della giurisdizione ordinaria in cause contro Equitalia.
In conclusione il quadro attuale della materia, normativo e giurisprudenziale, presenta notevoli profili di contraddittorietà, risultando comunque pesantemente intaccata l’autonomia della Cassa. E’ stato giustamente rilevato che “lo statuto complessivo derivante per le casse privatizzate dall’attuale assetto normativo nazionale è confuso, nebuloso, contraddittorio ed idoneo a generare difficoltà gestionali, controversie interpretative e giurisdizionali”.
Siffatta situazione potrebbe addirittura condurre all’affermazione della inutilità di configurare categorie giuridiche in cui poter inquadrare tali enti e gli istituti in cui si estrinseca la loro attività. Né si può ragionevolmente scindere l’aspetto privatistico della gestione previdenziale da quello pubblicistico della gestione patrimoniale, atteso che la seconda è strettamente funzionale alla prima e non può essere assoggettata a regole che possano vanificare il raggiungimento delle finalità primarie di tali enti, quali sono le prestazioni previdenziali ed assistenziali in favore dei propri iscritti.
Si impone un chiarimento definitivo da parte del legislatore sulla portata della natura giuridica delle Casse e sui contenuti della loro autonomia privata, da ricercare anche in coerenza con i principi comunitari.


Certo bisogna essere consapevoli che attrarre definitivamente la previdenza privata nel sistema della finanza pubblica significa assoggettarla pericolosamente agli squilibri eccessivi che oggi e per un lungo futuro caratterizzeranno la finanza pubblica stessa, ponendo così a repentaglio l’aspettativa dei professionisti per un trattamento pensionistico equo, che può essere garantito soltanto da un sistema autofinanziato.

Avv. Alberto Bagnoli

 

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