La formazione professionale continua

di Giovanni Cerri

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“…. oltre che in ambito deontologico, il possesso di un adeguato bagaglio di conoscenze e di sapere, anche a carattere specialistico, da aggiornare ed arricchire periodicamente si apprezza in prospettiva comunitaria, mentre l’importanza e la rilevanza costituzionale dell’attività professionale forense ne impone un esercizio consapevole e socialmente responsabile, quale mezzo di attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia”, e ancora “ …. che la continuità nella formazione e la costanza nell’aggiornamento assicurano più elevata qualità della prestazione professionale e adeguato contatto con il diritto vivente, soprattutto in presenza di un sistema normativo complesso e di una produzione giurisprudenziale sempre più numerosa e sofisticata….”
Si dice che la paura faccia 90 ma ripensandoci meglio anche 75. Il 25 febbraio 2011 il Consiglio Nazionale ha ritenuto di modificare l’art. 11 del Regolamento per la formazione continua approvato il 13 luglio 2007 aggiungendo il comma 3 bis che sostanzialmente riduce il monte ore (quando si dice della flessibilità….).
Di recente, dopo anche l’arresto del TAR Lazio con la sentenza depositata il 9 giugno 2011 che ha affondato il regolamento sulle specializzazioni forensi sancendo la nullità del provvedimento con il quale il CNF. aveva definito le condizioni per ottenere e conservare il titolo di avvocato specialista, è stata revocata in dubbio anche la discrezionalità degli Ordini sulla concessione degli accreditamenti per gli eventi formativi.
Le ultime modifiche processuali, il decreto sulle liberalizzazioni ed altre amenità (sulla scorta della cd. Manovra economica bis) stanno mettendo a dura prova vertici e periferia dei professionisti tanto da far temere per la stessa sopravvivenza del sistema ordinistico.


Un vero attacco alla diligenza, l’assedio di Forte Apache verrebbe da dire, con una giusta razione di “franchi tiratori”, guerre intestine e via cantando, tanto che, guardando in casa nostra, ci si potrebbe interrogare quanto l’avvocatura associata debba recriminare su suoi errori, sulle intempestività, sulla bontà di alcune scelte strategiche etc. . Questa però è riflessione che vorrei lasciare alle sintesi della politica ordinistico-associativa e dunque me ne torno all’obbligo formativo.
È noto che nell’anno decorso il CFN abbia prorogato il termine per completare l’obbligo formativo dapprima al 28 febbraio e poi al 31 luglio 2011, consentendo così agli iscritti (ancora inadempienti) di completare il monte ore (50) del decorso primo triennio sperimentale spirato il 31 dicembre 2010.
Orbene se qualcuno (moltissimi a mio avviso, se si pensa alle generalizzate proroghe) non è riuscito a (non ha voluto) raggiungere 50 crediti formativi, mi chiedo come sarà possibile che ne maturi 75 nel triennio a regime [1] e per fortuna allora - dico io - che il CNF ha in un sol botto ridotto il primitivo traguardo di 25 unità di misura.
Per vero mi risulta che qualche grande Ordine potrebbe accontentarsi di soli 50 crediti, cosa faremmo se non ci fosse la concorrenza.
Per pudore ometto il numero di crediti che ho maturato nel triennio decorso, ma non posso esimermi dal rendere conto che ho sempre fortemente avversato siffatta formazione obbligatoria e nella specie il regolamento, pur avendo ben chiaro il dovere di aggiornamento professionale[2].
Un avvocato deve avere nel DNA il dovere della formazione e l’aggiornamento professionale che, a mio avviso, si deve strettamente accompagnare al dovere di competenza[3].
Chiaro che ho dovuto far buon viso non solo impegnandomi nella formazione (prevalentemente dedicandomi alle discipline elettive), ma contribuendo a formare ed esportando cultura e principi.


Come potrò allora essere credibile nei confronti dei praticanti e dei giovani avvocati che ho, nel tempo, sì fortemente spinto ad adempiere l’obbligo?
Sappiamo bene che un precetto senza (sostanziale) sanzione è un non senso, una bella incompiuta se vogliamo.
Penso allora con pacata rassegnazione ai tanti dibattiti, particolarmente in sede distrettuale per ragionare su un’azione uniforme all’interno dei fori dell’Unione Regionale dove alcuni volevano impostare “gabbie” per obiettivi parziali al fine della dosimetria della sanzione, altri spingevano per la sola sanzione formale per non dire di altre ipotesi creative.
La proroga ha arrestato il dibattito, ha accontentato tutti, ha messo d’accordo falchi e colombe.
Con la proroga generalizzata il topolino ha partorito la montagna, ma così perde di credibilità il sistema e si indebolisce l’istituzione; in sintesi è sublimato l’italianissimo “tirare a campare” ovvero nel più prosaico slang partenopeo “ha da passà a nuttata”.
Personalmente due le direttrici che avrei privilegiato: una sospensione del tipo cautelare come quella prevista dalla legge 576/1980 art. 17, 5° [4] per chi non adempie l’obbligo dichiarativo verso Cassa Forense, ovvero una valutazione, caso per caso, magari con una benevola attenzione alle eventuali giustificazioni addotte da ciascun collega.
Nella prima ipotesi una sospensione cautelare sino alla prova del raggiungimento del montante per il decorso periodo, nella seconda la comminatoria di una calibrata sanzione al caso di specie (ovvero la pronuncia assolutoria) con tutte le garanzie del contraddittorio, in ogni caso un’attenzione all’avvocato e non già al ceto forense o, peggio, ai consumatori.


Amarissime le considerazioni conclusive: quale immagine forniamo all’esterno, quale credibilità possiamo spendere presso gli interlocutori istituzionali?
Meglio dunque eliminare questa inutile pratica della corsa ad accaparrarsi crediti come se fossero quelli della raccolta punti di un grande supermercato che degrada ed abbassa notevolmente il livello di dignità della nostra professione. Taccio di quelli a distanza, di quelli acquistabili in edicola e di quelli legati ad altre formule creative cui abbiamo assistito.
Meglio davvero lasciare alla coscienza del singolo il perseguimento della reale formazione continua e dell’aggiornamento e, nel momento della patologia disciplinare o della responsabilità civile, le valutazioni sul caso e sull’avvocato: rispettivamente dei Consigli territoriali, ancora purtroppo domestiche, e della Magistratura.

Giovanni Cerri



[1] Si riporta per estratto la delibera 25 febbraio 2011 del C.N.F. che ha modificato il regolamento 13 luglio 2007: “Nel secondo triennio di valutazione a partire dall’entrata in vigore del presente regolamento, e cioè per il triennio 2011/2013, i crediti formativi da conseguire sono determinati in complessivi settantacinque col minimo di quindici crediti in ciascuno dei primi due anni del triennio; dei settantacinque crediti complessivi almeno quindici nel triennio dovranno essere conseguiti in materia di ordinamento forense e/o previdenza e/o deontologia e di questi almeno quattro in ciascuno dei primi due anni del triennio”.

[2] È dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando ed accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali è svolta l’attività. L’avvocato realizza la propria formazione con lo studio individuale e la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense.

[3] Dovere di competenza canone deontologico 12

[4] Il quinto comma dell’art. 17 della legge .576/80, come modificato nel 1992 recita: L'omissione della comunicazione, il ritardo oltre i 90 giorni o la non conformità al vero non seguita da rettifica entro 90 giorni dalla scadenza del termine, vengono segnalati dalla Cassa al competente Consiglio dell'ordine per la valutazione del comportamento dell'iscritto sul piano disciplinare.

 

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