Indipendenza e autonomia del Giudice Tributario al vaglio della Consulta
24/05/2016
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- per effetto dell’indisponibilità, da parte dei giudici tributari, delle risorse di personale e dei mezzi materiali necessari all’esercizio della giurisdizione. Ciò perché, nella sostanza, il giudice tributario non può disporre autonomamente né del personale ausiliario né dei mezzi tecnici, in quanto i relativi poteri di disposizione sono attribuiti all’Amministrazione finanziaria della quale, per l’appunto, fanno parte le autorità che emanano gli atti soggetti al controllo giurisdizionale;
- sotto l’aspetto della mera apparenza di indipendenza relativamente all’esercizio del potere di determinazione del trattamento economico che prevede l’amministrazione e la liquidazione dei compensi dei giudici tributari affidata a quella stessa amministrazione finanziaria alla quale appartengono anche gli organi che emettono gli atti da sottoporre al controllo giurisdizionale.
L’ipotesi, infatti, è che la vigente organizzazione possa essere tacciata di incostituzionalità per via della dipendenza funzionale delle Commissioni tributarie - tanto che vengono anche definite come organi periferici del Ministero - dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che è una delle parti contrapposte nel processo tributario.
L’intervento dei Giudici di Reggio Emilia prende le mosse dagli artt. 111 e 3 Cost. secondo i quali tutti i processi debbono essere ugualmente "giusti". Inoltre, nonostante sia stato dato atto che le norme della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo, per come interpretate ed applicate dalla Corte di Strasburgo, si applicano in generale solo ai processi non tributari, è stata poi tratta la conclusione che, in forza dei predetti artt. 3 e 111 Cost., le norme stesse devono essere indirettamente applicabili anche al processo tributario, con specifico riferimento ai requisiti di indipendenza e imparzialità del giudice, secondo quanto previsto dall’art. 6 della predetta Convenzione.
In conclusione è stato così ipotizzato che la situazione dell’attuale dipendenza dal MEF dei giudici tributari, violando i principi dell’indipendenza e dell’imparzialità del Giudice, si porrebbe in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 3 e 111 della Cost. e dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Anche se datato, è un provvedimento che certamente non può essere sottovalutato perché - al di là del suo inquadramento temporale - va ad aggiungersi alle altre numerose iniziative in corso attraverso le quali sta sempre più prendendo forma quello che può considerarsi il quadro di riferimento per la maturazione della prossima riforma degli organi della Giustizia tributaria.
Infatti si ripete nel processo tributario quel che accade nel processo penale dove si vorrebbe separare, senza riuscirci, la carriera del magistrato inquirente da quella del magistrato giudicante. Così, in materia tributaria, si vorrebbe evitare che il Mef possa essere al tempo stesso giocatore e arbitro.
E’ una riforma da tutti auspicata, non potendo nessuno negare la necessità di un giudice tributario veramente imparziale, indipendente, professionale e a tempo pieno. Tutti, quindi, si muovono in questa direzione, come testimoniano le numerose iniziative in corso; ma poi niente si muove!
Si può ricordare l’esistenza della "proposta Glendi" giacente in Parlamento, sulla quale si è aperto un acceso dibattito dottrinario ancora non concluso.
Si pensi ancora alla iniziativa governativa che, sulla spinta della passata delega legislativa attuata alla fine dello scorso anno con il D. Lgs. n. 156 del 2015, intenderebbe dare vita ad un apposito tavolo di esperti - senza che tuttavia lo stesso abbia ancora visto la luce - per formulare una organica e completa proposta di riforma.
E mentre il Governo sta ancora riflettendo sui soggetti da coinvolgere, è improvvisamente apparso il D.D.L. Ermini, presentato alla Camera dei Deputati, con il quale - condivisibile o meno - è stata avanzata una nuova ed organica proposta di riforma.
Dunque gli interventi in materia sono molteplici e vedono coinvolti Governo, Parlamento e Dottrina.
Mancava però una voce che ora, in qualche modo, ha cominciato a farsi sentire: quella del potere giudiziario che spesso, esercitando un ruolo di necessitata supplenza, finisce per surrogarsi ai ritardi della politica.
La domanda è ovvia: perché se tutti sono d’accordo, il necessario intervento di riforma non prende corpo? La risposta potrebbe essere altrettanto ovvia, sostenendo che non sia facile contemperare gli interessi in gioco, spesso tra loro contrapposti.
Poiché resta l’urgenza dell’intervento auspicato, per non continuare a procrastinarlo, un indirizzo potrebbe essere quello di tenere essenzialmente presente le esigenze del contribuente - il soggetto passivo di imposta, che deve sottostare al potere impositivo di carattere autoritativo dello Stato - che è poi colui per la cui tutela, quale parte più debole del rapporto giuridico d’imposta, il processo tributario deve essere organizzato e regolamentato.
Tutti gli altri interessi a seguire, essendo stata comunque assicurata la tutela di quello che dovrebbe essere il vero oggetto della Giustizia tributaria, per un fisco giusto.
Se il Governo se ne facesse carico, i contribuenti italiani non mancherebbero di apprezzare la sensibilità manifestata per dare concreta soluzione ad un problema della Giustizia Tributaria di non secondaria importanza: quello di realizzare, nel processo tributario, una effettiva parità delle parti in causa ponendo i contribuenti sullo stesso piano delle Agenzie fiscali e di Equitalia, al fine di garantire l’imparzialità e l’indipendenza dei Giudici tributari.
Bruno Lo Giudice - Presidente UNCAT