Il TAR Lazio dà ragione alla Cassa

di Alberto Bagnoli

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Con questa chiara e perentoria motivazione il TAR Lazio di Roma, con sentenza n. 224 dell’11 gennaio 2012, ha accolto il ricorso presentato da Cassa Forense e dall’AdEPP, insieme a tutti gli altri Enti previdenziali privati ed ha annullato, per manifesta illegittimità, l’elenco ISTAT nel quale le Casse private erano state incluse tra le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato dello Stato.
Gravi e pesanti le conseguenze derivanti da tale illegittima inclusione, in quanto essa determinava per le Casse previdenziali private l’assoggettamento alle norme statali di controllo della spesa pubblica, e quindi un’arbitraria limitazione della propria autonomia gestionale e finanziaria, sancita dal D. Lgs. n. 509 del 1994.
L’indubbia circostanza che le Casse private hanno “la capacità di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero le spese sostenute per l’attività svolta” esclude che le stesse possano comportare un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato.
In sostanza, per le Casse “non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle ricorrenti, atteso che a questo fine esse sono state già fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma”.


Il messaggio del Giudice Amministrativo è forte e chiaro ed interviene in un momento particolarmente importante per l’assetto e la sopravvivenza stessa delle Casse private.
Queste, e Cassa Forense prima fra le altre, hanno già attuato interventi riformatori, proprio nell’esercizio della loro autonomia gestionale e finanziaria, per prevedere la sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo periodo.
Ma, come in passato, anche l’attuale Governo ha pesantemente intaccato il sistema vigente, imponendo con la legge “Salva Italia” che le Casse assicurino per un periodo di 50 anni l’equilibrio tra entrate contributive e spese per prestazioni previdenziali, senza peraltro tenere conto neppure del rendimento annuale dei patrimoni accumulati.
Il Governo però deve tenere conto, invece, che siffatta imposizione porterà inevitabilmente – come pure nel caso di passaggio al cosiddetto sistema contributivo di calcolo delle pensioni – ad una consistente riduzione delle pensioni future (quelle che percepiranno i giovani di oggi), senza che vi sia alcuna valida ragione giustificatrice, posto che per il sistema previdenziale privato non si pone un problema di riduzione della spesa pubblica.
Il TAR Lazio, inoltre, ha ribadito che la vigilanza dei Ministeri (Welfare, Economia, Giustizia) sull’attività delle Casse private “è nozione del tutto diversa dal controllo pubblico di tipo comunitario, perché nel nostro ordinamento nazionale non è consentito allo Stato di determinare la politica generale ed i programmi del singolo soggetto (semplicemente) vigilato”.
Sintomatica dell’eccesso di potere legislativo è infatti l’intitolazione “riduzione della spesa – pensioni” della norma (art. 24, comma 24 L. 214/2011) che impone le modificazioni urgenti del sistema previdenziale privato laddove per le Casse non si pone un problema di riduzione della spesa previdenziale, ma al contrario per le stesse sussiste l’obbligo di garantire in futuro pensioni adeguate.


I principi e le regole opportunamente riaffermati del Giudice Amministrativo sono dunque alla base di tutte le iniziative che Cassa Forense e gli Enti aderenti all’AdEPP, unitamente alle rappresentanze di tutte le categorie professionali, stanno avviando per resistere al grave quanto improvvido attacco alla previdenza privata, che non conosce l’enorme deficit della previdenza pubblica, e non grava sulla finanza pubblica.
L’auspicio è che per il futuro la difesa dei diritti ed interessi dell’Avvocatura e delle altre libere professioni non debba essere invocata da parte degli organi di giustizia, ma possa trovare giusto riconoscimento in sede di dialogo e confronto costruttivo con Governo e forze politiche.
Le libere professioni non meritano una “liberalizzazione” che metta in pericolo non solo l’attività lavorativa quotidianamente svolta, ma anche il legittimo affidamento di poter percepire in futuro una giusta ed equa pensione.

Alberto Bagnoli

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