IL “COMPENSO” DEL GIUDICE ONORARIO

di Leonardo Carbone

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In coincidenza  con  lo stato di agitazione della magistratura  onoraria, sono “intervenuti”  importanti  “riconoscimenti”  sul  trattamento economico spettante.

Il tutto è iniziato  a luglio 2020 con la sentenza della Cgue (causa C-658/18), che  ha inquadrato il  giudice di pace come “lavoratore”, secondo il diritto europeo, e rinviato al giudice nazionale per la valutazione del lavoro del  giudice di pace, ed in particolare se  sia o meno paragonabile a quello del magistrato ordinario.

L’orientamento giurisprudenziale favorevole alla magistratura onoraria è proseguito con la sentenza 26 novembre 2020 del Tribunale di Napoli (riferita ad un giudice di pace), la quale  ha riconosciuto che le funzioni del giudice di pace rientrano in quelle del lavoratore secondo il diritto europeo, con conseguente diritto dei giudici di pace ad un trattamento economico e normativo equivalente a quello assicurato “ai lavoratori comparabili che svolgono funzioni analoghe  alle dipendenze del Ministro”  (e cioè magistrati togati).

Ha condannato, quindi, il Ministero della Giustizia al pagamento delle differenze retributive anche al risarcimento del danno nella misura pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante per l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato.

Il “trend” favorevole alla magistratura onoraria è proseguito con  la sentenza del Tribunale di Vicenza  16.12.2020 n.343 (di cui si conosce il solo dispositivo), riferita ad un Got, la quale, si allinea alla citata sentenza del Tribunale di Napoli, e dichiara il diritto del giudice onorario di percepire un “trattamento economico corrispondente a quello previsto dall’art.2 l. 111/2007 e successive modificazioni per il ruolo di magistrato ordinario con funzioni giurisdizionali (classe stipendiale HH03)” – invece del pagamento a cottimo previsto per i got -  ed ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento delle somme spettanti, detratto quanto già corrisposto  per le funzioni esercitate, oltre al risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato.  

Anche la Corte costituzionale è intervenuta favorevolmente ai giudici onorari, e con sentenza  16.12.2020  n.267 ha  dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa. E ciò in quanto, per la Corte, “attesa l’identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l’esigenza di garantire un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità”.

E’ opportuno segnalare anche una pronuncia (in via cautelare) del Tar Emilia Romagna che ha accordato ad un giudice di pace di continuare a svolgere le funzioni giurisdizionali anche successivamente al compimento del 68 anno  di età (l’art.29, comma 2, d.lgs. n.116 del 2017 prevede che i magistrati onorari cessano automaticamente al raggiungimento del 68 anno di età).

Dopo le “aperture” della Corte Ue, della Corte costituzionale e  dei Tribunali di Napoli e Vicenza, che riconoscono il diritto a retribuzioni equiparate a dipendenti con funzioni simili (e cioè, giudici ordinari togati), proseguirà l’indirizzo giurisprudenziale favorevole sul compenso spettante anche nei successivi gradi di giudizio? Perché è evidente che la questione verrà portata dall’Avvocatura dello Stato prima davanti alla  Corte di appello e poi…infine innanzi alla Corte di Cassazione (a meno che nel frattempo non sia intervenuta una modifica  legislativa sullo status professionale della magistratura onoraria).

Ed in materia non si può ignorare, anche se riferite al personale  ATA della scuola, la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, 14.3.2016 n.4914, in cui si afferma che nel regime del lavoro pubblico in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato  da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art.36, comma 5, d.lgs. n.165/2001, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione. Il riferito principio sugli abusi da parte della PA di contratti a termine è stato poi ribadito dalla Corte cost. con sentenza n.187 del 20.7.2016.

Avv. Leonardo Carbone - Direttore Responsabile della Rivista 


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