Cassa Forense a Rimini

di Giovanni Cerri

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Mi sono domandato perché proprio a me il Comitato di Redazione abbia chiesto di scrivere il pezzo sulla conferenza di Rimini, a me che ho il genoma truccato, cui la romagnolità è quasi un'identità diffusa. Non a caso per me i simboli dell’unità nazionale, dopo il tricolore ovviamente, sono la piadina e gli ombrelloni. Con un rigurgito di piaggeria posso dirvi che una volta l’anno almeno mi gusto Amarcord dove, guarda caso, la presenza narrante è quella di un avvocato del foro di Rimini.
Forse speravano (e sperano) che io potessi incuriosire la platea degli avvocati con le autoctone note caratteristiche ovvero, in caso di scarsa partecipazione, avrei dovuto essere il famigerato capro espiatorio.
Comunque sia sfida raccolta, more solito, con rendicontazione a lunedì 28 settembre, facciamo magari al 29 parafrasando una nota canzone degli anni 70 dell’Equipe 84 “Seduto in quel caffè io non pensavo a te. Guardavo il mondo che girava intorno a me ….” (per incuriosire i giovani colleghi ricordo l’esibizione al giovedì sera, dopo la prima giornata dei lavori, di alcune band rock composte da avvocati. Del resto in tema di risparmio di spesa meglio ricorrere all’autarchia).
Dunque se l'afflusso sarà scarso, se l'interesse sarà modesto, se i relatori e i temi della Conferenza poco interessanti, mi toccherà raccogliere le colpe.
Anche Cassa Forense deve passare il Rubicone[1]: nessun cittadino romano poteva attraversare quel confine armato e calare verso Roma. Cesare si arrogò il diritto di passare il ponticello pronunciando la celeberrima frase Alea iacta est.
Anche Cassa Forense si rende conto che indietro non si torna, che il mondo è cambiato, che la crisi ha inciso sulle relazioni personali, sulla professione e sul modo di esercitarla, con inevitabili ricadute sui redditi.


Si parlerà ex professo delle risorse anche previdenziali e dei sostegni alla professione, agli avvocati e alle loro famiglie. Di questo e di altro ancora appunto si parlerà a Rimini nel Palazzo dei Congressi dal 24 al 26 settembre 2015 dove credo nessuno debba restare indietro. Se dovessi coniare un motto per l’occasione direi; “partecipare per comprendere, comprendere per cambiare, cambiare per rifondare”.
Tornando ai confini, e non per il regolamento, non si può tacere di quello tra le terre di Romagna e dell'Emilia, che è sempre stato aleatorio o opinabile (un poco come nel diritto). Si narra che, a prescindere dai cartografi, la regola certa consista nella differente accoglienza al viandante, offrire vino o acqua. Ovviamente, per me che sono di parte, comprenderete dove i frutti della vigna vengano maggiormente elargiti.
Ma il vino migliore è in Emilia (non se abbiano a male i Romagnoli che vantano però storicamente il vitigno dell’Albana[2]), la cultura ha sponda più emiliana con la più antica università del mondo, l'Alma Mater Studiorum.
Dunque guai alla secessione, questa terra nel suo complesso può vantare un mix meraviglioso di arte, cultura, turismo, intraprendenza, conoscenza, accoglienza e altro ancora su cui non voglio tediare sperando che, in tanti, vengano a toccare con mano per l’occasione della Conferenza.
Ancora sul confine e sul sottile file rouge che lega la mia regione a Roma, si narra che nel ventennio il cavaliere, il primo, quello per antonomasia, si arrogò il diritto di spostare dalla Toscana alla provincia di Forlì la sorgente del Tevere[3].
Veniamo (torniamo) a Rimini ed al legame con Roma, di cui è stata un avamposto. Della partenza della via Emilia, dell'arrivo della Flaminia non possiamo tacere. Si deve percorrere il ponte di Tiberio per rendersi conto della solidità e maestria costruttiva dell’epoca; non si può non visitare il Tempio Malatestiano e l'Arengo. Come non ricordare poi il celebre liceo Giulio Cesare di Felliniana memoria, il liberty del Grand Hotel e l’intramontabile Amarcord. Merita poi una particolare menzione ed una visita la Domus del Chirurgo[4].


Ma che dire ancora: le dolci colline riminesi, la Valle del Marecchia con le roccaforti di San Leo e di Pennabilli, senza dimenticare il biondo lungo arenile, il lungomare, il porto, il borgo di Santa Giuliana e altro ancora di cui non posso a lungo narrare per il groppo in gola che mi sale nel restarvi lontano.
Se partecipare alla conferenza ci ha menato in coppia perché non pensare alla vicina Gradara e dunque alla storia di Paolo e Francesca, altroché gli Innamorati di Raymond Peynet. Ometto di raccontarvi delle discoteche tali e tante ne troverete se non per ricordare qualche mia fugace giovanile uscita al Bandiera Gialla o al Paradiso sul fresco colle di Covignano.
Abbandonando il faceto o il contorno, torniamo alla pietanza. Passare il Rubicone anche per Cassa Forense è allora nelle cose, la XI conferenza non poteva che essere celebrata a Rimini, in questa platea è sembrato davvero giusto tenere a battesimo la riforma dell'assistenza perché in questi anni, un poco bui per vero, con fuochi di guerra planetari, con la crisi che soffia, coi rinati conflitti razziali, con la sofferenza del ceto medio, cui l'avvocatura appartiene, parlare di assistenza nella forma più duttile e più dinamica che Cassa Forense ha di recente pensato, trova in questa città di accoglienza, di spirito d'intraprendenza, di irridente scanzonatura per le cose più tristi, l'esaltazione del tema.
Infatti partendo dalla crisi è di stringente attualità interrogarci sulle manovre correttive degli ultimi anni, particolarmente sulle disordinate norme che attengono il contenimento della spesa e viepiù sul complesso sistema della tassazione degli investimenti che, approvate senza gli emendamenti che Cassa Forense e l’avvocatura hanno reclamato, stanno inferendo un grave vulnus all’autonomia delle Casse previdenziali.


Allora davvero andiamo a Rimini e speriamo che le migliori menti si trovino, si ascoltino, non bisticcino per questo o quel regolamento, magari elettorale in primis con ferite ancora aperte che chissà quando rimargineranno. Andiamoci perché: si esca con un seme di speranza; si alzi un empito di orgoglio del ceto forense e si levi un'esaltazione della solidarietà, argine agli egoismi individuali, che ci consentirà di mutuare irriverentemente il memento dell'Altissimo al lamentoso ma paziente Giobbe:" Fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l'orgoglio delle tue onde ..".[5]
Sia dunque questo luogo, questo momento, questo ritrovarci, l'argine a quell'orgoglio livoroso e rancoroso della finanza, dei poteri forti, del vuoto della politica; se Europa sia venga quella delle genti, dei popoli e dei diritti. Magari affermiamolo là, tra poco, tutti assieme nella sede del collaudato Meeting dell'amicizia fra i popoli che alla fine di agosto avrà appena concluso la XXXVII edizione.
Concludendo non abbiate timore di venire: se proprio il mare ingrossa a Rimini ci sono i bagnini di salvataggio, i migliori del mondo (quelli di Baywatch non fanno loro neanche un baffo) che, alla denegata bisogna, sapranno condurre il moscone di salvataggio con grande maestria, magari proprio quello che mia figlia Caterina ha dipinto e che mi piace proporvi.

Avv. Giovanni Cerri – Delegato di Cassa Forense


[1] Alea iacta est è locuzione tradotta con il dado è tratto. Divenuta celeberrima, si cita quando si prende una decisione dalla quale non si può più recedere. È attribuita da Svetonio - che la riprende probabilmente da Asinio Pollione - nel suo De vita Caesarum a Giulio Cesare che l'avrebbe proferita dopo aver varcato, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C., il fiume Rubicone alla testa di un esercito, violando apertamente la legge che proibiva l'ingresso armato dentro i confini dell'Italia e dando il via alla seconda guerra civile.

[2] Si narra che attorno al 400 a.C., Galla Placidia, figlia dell’imperatore romano Teodosio, sostasse con il seguito sul Colle di Bertinoro in Romagna. Qui, le offrirono in una ciotola di terracotta il biondo vino del posto, l’Albana. Galla Placidia fu deliziata da quel vino ed alzando la ciotola esclamò: “ non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì berti in oro”, da cui il toponimo.

[3] Nel Comune di Verghereto, la Frazione di Balze è il più alto insediamento dell’Appennino Romagnolo, a 1.096 m s.l.m. ai piedi di un’imponente barriera granitica di rupi ciclopiche; provenendo dalla superstrada E45, che caratterizza gran parte del corso del Tevere, si raggiunge Balze ora attraverso fitti boschi ora attraverso paesaggi quasi lunari caratterizzati da formazioni geologiche a marne. Al di sopra di Balze si staglia la vetta del Monte Fumaiolo (1.407 m s.l.m.), a sua volta la più elevata dell’Appennino Cesenate, vera e propria terrazza con vista su Alto Savio, Montefeltro e parte della Valtiberina Toscana, nonché San Marino e a volte il Mar Adriatico. Ci si trova al crocevia fra Romagna, Toscana e Marche, e anche dal punto di vista fluviale la zona unisce in un breve spazio le sorgenti di Tevere, Arno e Savio. Le Sorgenti del Tevere scaturiscono non lontano dalla cima del Fumaiolo, in un ambiente incontaminato e assai suggestivo. Sul monte nasce “il fiume sacro ai destini di Roma”, come fece apporre Mussolini sulla stele sormontata da un’aquila, sulla quale compaiono anche tre teste di lupo: e che il Tevere non potesse essere altro che romagnolo (come lui) fu sancito d’ufficio con lo spostamento che il Duce effettuò dei confini regionali, distaccando il sito dalla storica appartenenza alle terre del Granducato di Toscana e al legame con Firenze.


[4] L’area è estesa su 700 mq, comprende diverse costruzioni, di cui la più interessante è la cosiddetta Domus del Chirurgo. Si tratta dei resti di un’antica domus romana risalente al II secolo d.C.
Lo scavo ha portato alla luce anche altre strutture di rilievo: resti di una abitazione tardo imperiale, tracce di un insediamento altomedievale e con un grande sepolcreto sottostante che evidenziano una notevole stratificazione storica. Di notevole importanza è il gran numero di reperti e mosaici ritrovati all’interno: ben conservati, hanno permesso una fedele ricostruzione della casa e dell’identità del proprietario, oltre a far luce su un passato affascinante. Il reperto forse più eccezionale è una collezione di ben 150 strumenti chirurgici che non hanno lasciato dubbi circa l’identità del padrone di casa: un medico. Pare che Eutyches, questo il suo nome, provenisse da ambienti ellenici e, come spesso accadeva nell’antichità, si fosse poi formato sui campi di battaglia. In effetti, gli strumenti ritrovati venivano usati soprattutto per traumi ossei e ferite, lasciando immaginare che Eutyches fosse un medico militare.

[5] Dal libro di Giobbe 38, 1.8-11

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