Albi sovrapopolati e numero chiuso.

di Roberto Uzzau

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Il tema non è recente, dato che già vent'anni fa un alto magistrato della Procura della Repubblica di Milano (il quale, a beneficio delle copertine di settimanali nazionali, si compiaceva nel farsi immortalare una volta davanti al pianoforte ed un'altra in sella ad un purosangue, invece che al lavoro), dettava il suo disprezzo verso gli avvocati sostenendo che “i Pubblici Ministeri in Italia sono meno di 1700, mentre gli Avvocati sono oltre 50.000. E già il rapporto tra queste due cifre mostra con eloquenza dove sta l'elite e dove sta la massa” (Corriere della Sera del 5 ottobre 1994). Adesso che i legali sono oltre 200.000 chissà, da pensionato, cosa costui bofonchia sulla panchina dei giardini pubblici a chi gli siede di fianco.
E però, in disparte il fastidio per l'altrui malanimo, il problema numerico concretamente esiste, ma le soluzioni che sono state ipotizzate appaiono difficilmente praticabili.
Ragioni di spazio impongono di soffermarsi brevemente solo su alcune.
Occorre premettere che la crescita esponenziale degli iscritti agli Albi comincia immediatamente dopo l'approvazione delle modifiche alla disciplina degli esami di Procuratore Legale (L. 27/06/1988 n. 242), che di fatto consegnarono all'Avvocatura la gestione pressoché integrale dell'accesso alla professione: il che dovrebbe indurre a serissime riflessioni circa le responsabilità della categoria in relazione al tema che occupa.
In un tale contesto, invocare congegni come il numero programmato delle iscrizioni nelle facoltà di Legge o il numero chiuso per blindare gli Albi, a mio avviso appare una ricerca di espedienti inopportuni per evitare l'ammissione di una sconfitta.


D'altra parte, la previsione normativa di una riduzione della platea degli studenti universitari che vogliano coltivare lo studio delle materie giuridiche, per quanto coniugata con l'istituzione di corsi specialistici e diversificati a seconda dell'indirizzo che si intende intraprendere (avvocatura, notariato, magistratura), potrebbe essere ritenuta collidente con i principi costituzionali che garantiscono il diritto allo studio, se è vero, come è vero, che il 3° comma dell'art. 34 della Carta fondamentale impone che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Quanto agli Albi “a numero chiuso”, se effettivamente si volesse operare una tale scelta, chi scrive è dell'opinione che non si debba elaborare alcuna norma in proposito, in quanto la previsione di legge esiste da 80 anni.
A mente dell'art. 19 del Regio decreto Legge 27 novembre 1933 n. 1578 (Ordinamento delle professioni di Avvocato e Procuratore), infatti, “Nel mese di ottobre di ogni anno i Consigli dell'ordine degli avvocati, ciascuno per la rispettiva circoscrizione, tenuto conto del numero degli iscritti, delle vacanze verificatesi e del complesso degli affari giudiziari, indicano, con parere motivato, al ministro della Giustizia il numero di coloro che potrebbero essere ammessi nell'anno seguente negli Albi. Il Ministro della Giustizia, sentito il parere del Consiglio nazionale forense, stabilisce, entro il successivo mese di dicembre, il numero massimo dei nuovi avvocati che complessivamente potranno essere iscritti nell'anno seguente negli Albi dei Tribunali compresi in ciascun distretto di Corte d'Appello e la loro ripartizione nei singoli Albi”.
La norma appena citata è stata sterilizzata il 7 settembre 1944, allorché il decreto legislativo luogotenenziale n. 215 dispose che “è temporaneamente sospesa l'applicazione delle norme concernenti la limitazione del numero dei posti da conferire annualmente per l'iscrizione o per trasferimento negli albi dei procuratori”.


E questa disposizione, restando perennemente temporanea nonostante la cessazione dello stato di guerra, ha consentito nell'arco di 7 decenni a tutti coloro che superavano gli esami per la abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, banditi annualmente, di iscriversi negli albi professionali a prescindere dal numero degli iscritti già presenti in detti albi.
Qualcuno potrebbe obiettare che la Legge 31 dicembre 2012 n. 247, nel riscrivere le norme che regolano la professione forense, ha spazzato via anche la disposizione appena sopra trascritta, ma in proposito deve osservarsi che tale disposizione non appare in contrasto con la nuova disciplina, la quale, non solo non contiene alcuna espressa abrogazione dell'intero blocco del precedente impianto, ma, all'art. 64, delega il Governo ad adottare, entro due anni e sentito il Consiglio Nazionale Forense, un testo unico di riordino delle disposizioni in materia di professione forense, accertando la vigenza attuale delle singole norme ed indicando quelle abrogate, anche implicitamente, per incompatibilità con successive disposizioni, e quelle che, pur non inserite nel testo unico, restano in vigore.
La tesi circa l'attuale efficacia, seppure in regime di temporanea sospensione, dell'art. 19 della precedente legge professionale è avvalorata dal disposto di cui al primo comma dell'art. 65 della nuovo ordinamento, che così recita: “Fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella presente legge, si applicano se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate”.
Per il che, non apparendo la verifica del numero di coloro che potrebbero essere iscritti negli Albi abrogata o in dissidio con la novella, basterebbe sopprimere l'art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale n. 215/1944 per ripristinare una equilibrata programmazione del numero degli Avvocati che possano conseguire l'abilitazione alla professione.
Dubito assai che il legislatore avrà mai il coraggio di seguire il percorso appena descritto, che eviterebbe l'applicazione dell'art. 21 della nuova legge professionale, in relazione alla cui pratica efficacia nutro forti perplessità.


Avendo maturato un'esperienza ordinistica lunga circa tre lustri, non riesco infatti ad immaginare come i regolamenti di prossima stesura possano individuare le modalità (escluso ogni riferimento al reddito professionale) attraverso le quali gli Ordini, pena il commissariamento, dovranno verificare ogni triennio la sussistenza dei presupposti per la permanenza dell’iscrizione all’albo, oggi subordinata “all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente”, adottando, in difetto, provvedimento espulsivo nei confronti dell'Avvocato “saltuario”.
Ma, qualora le ipotesi appena sopra sommariamente esaminate fossero praticabili e si ottenesse il risultato pressoché unanimemente auspicato di contenere il numero degli iscritti negli Albi, sorgerebbe in ogni caso il dubbio circa la loro compatibilità con le direttive europee, attraverso le quali è consentito l'esercizio della professione forense negli stati membri.
Vi è poi da chiedersi quale diniego possa essere opposto dal Consiglio dell'Ordine alla richiesta di iscrizione che l'avvocato straniero faccia ai sensi dell'art. 17, comma 2, della nuova Legge Professionale.
In realtà, a sommesso parere di chi scrive, vi è una strada per nulla tortuosa che si deve percorrere e che ha un nome estremamente semplice: selezione dei meritevoli.
Si tratta di un approdo alla normalità che, di questi tempi, avrebbe sapore quasi rivoluzionario e condurrebbe anche ad un ripensamento nel modo di interpretare e tramandare l'esercizio della professione.
Punto di partenza, la Scuola e l'Università, che devono riappropriarsi della funzione di incentivare gli studenti seri e di promuovere solo quelli meritevoli.
Al traguardo, lo Stato che, in ossequio al 5° comma dell'art. 33 della Costituzione, deve gestire con rigore gli esami per l'abilitazione all'esercizio professionale, come è accaduto dal 1944 al 1989.
Nel mezzo, l'Avvocatura, cioè tutti noi, con un ritorno ad un assoluto senso di responsabilità.


E' necessario che gli Ordini, costantemente e rigorosamente, anche con visite presso gli studi professionali, verifichino che coloro i quali accolgono i praticanti assicurino agli stessi un tirocinio proficuo e dignitoso e non si limitino a sfruttare le loro energie, magari solo impiegandoli nello svolgimento di compiti di segreteria al fine di risparmiare i costi del personale altrimenti da assumere.
Occorre negare la possibilità di svolgimento del tirocinio presso gli iscritti che abbiano subito rilievi disciplinari, per almeno un quinquennio dalla definitività della sanzione.
Non si devono ammettere al patrocinio i praticanti che, in sede di colloquio davanti al Consiglio dell'Ordine, riescono a malapena a balbettare il proprio nome, ignorando totalmente non solo i principi dell'ordinamento professionale e della deontologia, ma anche l'oggetto dei processi le cui udienze vengono annotate nel libretto della pratica.
Soltanto in questo modo, con la coscienza immacolata, si avrà la potenza di respingere l'accusa di essere casta chiusa e di rivendicare serietà e nitore.
Solo così ricompariranno i Maestri, veri punti di riferimento per chi ha memoria di un passato non avvilente, si formeranno generazioni di Avvocati seri e preparati e si riguadagnerà un rispetto che oggi è latitante o contumace.
In questo modo non sarà necessario avere coraggio per aprire i procedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti e di concluderli con la comminazione di sanzioni adeguate in caso di comprovati illeciti deontologici.
I professionisti hanno il diritto di rivendicare e pretendere assoluta credibilità, soprattutto quando non hanno il timore di essere soggetti ad una onesta e pubblica verifica della loro attività e del rispetto delle norme deontologiche.
Valga, quale esempio, il caso dei Notai, i cui rogiti sono soggetti ad un vaglio biennale da parte del Conservatore dell'archivio notarile che, con il presidente del Consiglio notarile, li esamina puntigliosamente e, qualora vengano riscontrate irregolarità o infrazioni, avvia i procedimenti di annullamento e deferisce il professionista all'organo disciplinare.


Solo un ceto forense responsabile, singolarmente e collettivamente, può rigenerare e riqualificare se stesso.
Purtroppo oggi si bada soltanto ai fascicoli che stazionano sulla scrivania ed ai problemi connessi alle difese da spiegare, considerando solo quello che è utile al nostro particolare e trascurando tutto ciò che attiene all'interesse generale dell'Avvocatura.
Come cantava un artista recentemente scomparso, “tutto il resto è noia...”.

Avv. Roberto Uzzau - Delegato di Cassa Forense

 


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