500 miliardi che fanno gola
16/12/2011
Stampa la paginaSecondo quanto previsto dall’art. 24, comma 24, le Casse private, ai fini dell’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni, devono adottare, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 31 marzo 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di 50 anni. Le relative delibere dovranno essere sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti, che si esprimono in via definitiva entro trenta giorni dalla loro ricezione.
Decorso il termine del 31 marzo 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
- le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 24 sempre del Decreto Monti, cioé l’applicazione del sistema contributivo pro-rata agli iscritti alle relative gestioni;
- un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1%.
In pratica, secondo il disegno dell’Esecutivo, gli enti pensionistici dei professionisti, nello stringente tempo di tre mesi, dovranno adottare importanti riforme strutturali al fine di assicurare un saldo previdenziale positivo tra le entrate contributive e le uscite per prestazioni per i prossimi 50 anni.
Riforme strutturali concretamente inattuabili.
La garanzia di sostenibilità richiesta fino a poco tempo fa era soltanto per 15 anni; con la Finanziaria del 2007 è stata innalzata a 30 anni; ora si eleva ulteriormente a 50 anni.
Nel giro di 4 anni, insomma, si pretende di coprire 35 anni. Un salto inaudito, che non ha alcun precedente in nessun sistema previdenziale europeo.
Per di più l’equilibrio da garantire deve essere raggiunto senza tenere conto dei cospicui patrimoni, mobiliari ed immobiliari, che, chi più chi meno, ciascun ente previdenziale ha e dei rendimenti che da essi derivano.
I tempi assegnati sono troppo stretti.
Per passare dai 15 ai 30 anni di sostenibilità ci sono voluti 3 anni. Adesso, invece, si richiede di coprire ulteriori vent’anni in soli tre mesi.
Il solo criterio del saldo previdenziale, inoltre, non mette quasi nessuna Cassa al riparo dal segno meno.
L’unico modo per riuscire a raggiungere l’equilibrio finanziario, negli strettissimi tempi assegnati, sarebbe quello di richiedere ulteriori aumenti delle aliquote agli iscritti.
Una strada di certo non percorribile che richiede uno sforzo non di poco conto, in un momento in cui tutte le professioni risentono dell’imperante crisi economica.
Ciò vale in generale per tutti gli enti previdenziali privati, ma vale ancor di più per Cassa Forense.
La nostra Cassa, infatti, ha da poco e con grandi sforzi raggiunto l’equilibrio. Tale meta è stata raggiunta con qualche taglio alle pensioni, ma, soprattutto, aumentando sensibilmente i versamenti dei propri iscritti.
Per adeguarsi alle nuove previsioni normative si dovrebbe di nuovo partire da zero e, non potendo fare ricorso al proprio patrimonio, per garantire la sostenibilità sarebbero necessari nuovi aumenti delle aliquote.
Ulteriori sacrifici per gli iscritti non sono, però, proponibili né sostenibili in un momento nel quale il reddito degli avvocati è in continua discesa ed è giunto a toccare medie di 20 anni fa.
Si tratta, dunque, di una norma capestro che non apporta alcun apprezzabile vantaggio economico per lo Stato.
Infatti, le Casse private non gravano in alcun modo sul bilancio dello Stato, non godono di alcun contributo, e, anzi, sono sottoposte ad una doppia tassazione, sulle pensioni e sul rendimento dei patrimoni.
Il volere mettere le Casse con le spalle al muro sembrerebbe, quindi, nascondere altre intenzioni.
Il legittimo dubbio è che il fine ultimo sia la volontà di far confluire le casse private nel mare magnum dell’INPS, per potere mettere le mani sul tesoretto accantonato dalle varie categorie di professionisti.
Non vogliamo essere funesti profeti, ma secondo un vecchio ed intramontabile adagio “è vero che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina”.
L’AdEPP, l’associazione che raggruppa gli enti previdenziali di avvocati, medici, ingegneri, commercialisti, ecc… , in totale 20 casse di liberi professionisti, è subito saltata sugli scudi, facendo sentire a gran voce nelle Istituzioni le proprie legittime istanze volte a cambiare una manovra che presenta troppe criticità ed è foriera di pesanti incertezze. Non ultima il paventato spettro dell’assorbimento da parte dell’INPS per tutte le casse che non riusciranno ad adeguarsi per tempo.
Era stato proposto un emendamento, primo firmatario il vicepresidente della commissione Bilancio della Camera, Giuseppe Francesco Marinello, che sposando le richieste formulate dall’AdEPP, prevedeva tre importanti modifiche al comma 24 dell’art. 24 del Decreto Monti:
- spostare di tre mesi della soglia per effettuare le verifiche, dal 31 marzo al 30 giugno 2012;
- considerare nei bilanci anche i patrimoni mobiliari e immobiliari;
- far rimanere a 30 anni l’arco di tempo delle garanzie sulla sostenibilità.
Purtroppo, allo stato, è stato accolto solamente lo spostamento del termine dal 31 marzo al 30 giugno 2012, mentre per le ulteriori richieste, la Camera ha impegnato il Governo, in sede di applicazione del comma 24 dell’art. 24, di tener conto anche delle superiori richieste di modifica.
Nelle more, il Comitato dei Delegati, nella seduta del 16 dicembre 2011, ha esitato una mozione con la quale esprime netta contrarietà alle misure imposte dal Governo in materia di Enti previdenziali, opponendosi al disegno di privare Cassa Forense della propria autonomia, riservandosi di mettere in campo tutte le iniziative idonee a contrastare ogni forma di attacco all’indipendenza dell’Avvocatura.
Siamo solo all’inizio.
Santi Geraci