Prove dichiarative e obblighi di rinnovazione istruttoria

di Antonello Scordo

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L’assunto è semplice e noto: il giudice di appello, ove intenda ribaltare una sentenza di assoluzione, non può non rinnovare la prova dichiarativa se intende fondare il convincimento di colpevolezza su quella prova che il giudice di primo grado ha valutato in senso opposto. Può sembrare, almeno ad una prima lettura, che il principio appartenga esclusivamente al piano sovranazionale e che a fatica possa farsi strada nel nostro ordinamento processuale. Un ordinamento che conosce da molti anni un meccanismo di controllo d’appello meramente cartolare, con pienezza dei poteri decisori del giudice funzionalmente superiore, sia pure all’interno dei confini della devoluzione legata ai punti della decisione individuati dai motivi. Eppure, già con la legge cd. Pecorella del 2006, che introdusse nel sistema la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio come canone essenziale della decisione sul merito dell’imputazione, si avvertì l’anomalia del disegno codicistico che descrive in termini di fisiologia del controllo impugnatorio l’integrale riforma della sentenza di assoluzione di primo grado senza riapertura dell’istruzione. Allora si pensò di risolvere la questione comprimendo i poteri di appello del pubblico ministero in riguardo alla sentenza di proscioglimento, ma la Corte costituzionale demolì quella soluzione in nome del principio della parità delle parti, alterata dalla mancata limitazione contestuale – e non poteva essere altrimenti – dei poteri di appello dell’imputato nei confronti della sentenza di condanna. Il tradizionale sistema del controllo di appello era però entrato in una crisi non risolvibile con un mero ritorno al passato, e ciò non già per l’incidenza diretta della giurisprudenza della Corte europea, quanto per l’impossibilità di ritenere che il ragionevole dubbio possa dirsi superabile, a fronte di una pronuncia assolutoria di primo grado, sulla base soltanto della lettura dell’incarto processuale da parte del giudice di appello. Il salto di qualità, imposto dalla logica processuale prima ancora che dai valori convenzionali di equo processo, può essere fatto soltanto imponendo la rinnovazione probatoria, sottraendola a quella marginalizzazione a cui l’aveva consegnata anche l’attuale codice di rito recependo il principio della presunzione di completezza istruttoria del primo grado. Il giudice di appello può dunque vincere il ragionevole dubbio condannando un imputato assolto in primo grado soltanto se introduce tra la sua decisione e la precedente di assoluzione un elemento di discontinuità probatoria che, se non costituito dalla prova sopravvenuta, è dato dalla riacquisizione della prova già assunta e diversamente valutata dal giudice di prime cure.


È questo l’elemento necessario per dissipare il ragionevole dubbio che, altrimenti, resterebbe infisso nella vicenda processuale di un assolto che si vede ribaltata la sentenza liberatoria soltanto per un diverso apprezzamento del medesimo materiale probatorio a suo favore. Le Sezioni unite hanno ragionato così affermando di recente il principio per il quale “è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 - dep. 06/07/2016, Dasgupta, Rv. 267492). E questo principio hanno ribadito anche per il caso in cui la sentenza assolutoria di primo grado sia stata adottata all’esito di un giudizio abbreviato non condizionato. Hanno correttamente spiegato che in gioco non è una pretesa di simmetria tra il giudizio di primo e quello di secondo grado, sì da poter ritenere che il giudice di appello sia esonerato dall’obbligo di rinnovazione istruttoria quando anche il giudizio di primo grado abbia avuto una struttura cartolare. Quel che viene in rilievo è, anche in questa ipotesi, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio che prescinde, nel suo operare, dal fatto che la sentenza assolutoria sia stata adottata in dibattimento o in abbreviato. Quale che sia la modalità processuale che ha portato alla sentenza assolutoria, è dal giudizio assolutorio che discende la conseguenza di uno scarto qualitativo che faccia comprendere come e perché il secondo giudice abbia potuto ribaltare il verdetto di innocenza e trasformarlo in una condanna. Hanno così affermato, poco dopo la sentenza appena sopra richiamata, che è parimenti “affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 - dep. 14/04/2017, Patalano, Rv. 269785). Un indirizzo interpretativo, questo, che ha certo trovato autorevole avallo nella giurisprudenza della Corte Edu ma che si è mosso, senza soluzione di continuità, lungo un sentiero tracciato dalla giurisprudenza nazionale, positivamente influenzata dalla migliore dottrina, che già anni fa aveva stabilito, a proposito del ribaltamento decisorio in danno operato in appello, il necessario potenziamento dell’onere di motivazione in capo al giudice di appello, stabilendo che questi, quando riforma “totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell'imputato, è tenuto a dimostrare in modo rigoroso l'incompletezza o l'incoerenza della prima” (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 - dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231674).


Da ultimo, anche il legislatore ha preso atto della bontà dei principi modellati dalla giurisprudenza, specie sovranazionale, e con la recente legge n. 103 del 23 giugno scorso ha novellato l’articolo 603 c.p.p., in tema di rinnovazione istruttoria, con l’aggiunta del comma seguente: «3-bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». Si è così consacrato il maggior grado di resistenza della sentenza assolutoria nel prosieguo processuale, la sua più intensa attitudine a costruire verità, e ciò in forza di un dato troppe volte trascurato ma che rappresenta l’immediata rifrazione sul processo e sulle sue regole della presunzione costituzionale di innocenza. Il processo è costruito per provare la colpevolezza, e non giova certo a provare l’innocenza che, in assenza di prove contrarie, si impone come verità storica non graduabile, che le conoscenze processuali non possono scalfire o offuscare in assenza di quella forza e consistenza tali da superare ogni possibile ragionevole dubbio.

Avv. Antonello Scordo - Foro di Messina

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