PROPOSTA CONCILIATIVA DEL GIUDICE E OBBLIGO DELLE PARTI DI ESAMINARLA

di Pier Giorgio Avvisati

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Una recente pronuncia del Tribunale di Salerno (sentenza 8/4/2025 n. 12548) affronta il tema della proposta ex art. 185-bis c.p.c. suggerita dal Giudice e di quale debba essere la posizione delle parti nella valutazione della stessa e la condotta conseguente per evitare il rischio di una sanzione ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

La vicenda trae origine dalla domanda di un dottore che citava in giudizio due soggetti chiedendo al Tribunale che accertasse la validità di un contratto d’opera professionale, riconoscendo il suo diritto di credito con conseguente condanna dei convenuti in solido al relativo pagamento.

Nel corso del procedimento veniva formulata una proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c. dal giudicante, accettata dalla parte convenuta ed anche dall’attore, ma con una modifica concernente una maggiorazione degli importi da calcolarsi con l’IVA.

A fronte della riscontrata “impossibilità di conciliare le parti” la lite veniva differita per le conclusioni e si perveniva ad una decisione, appunto, nella quale, per quello che qui interessa, il Tribunale rilevava l’assenza della accettazione della proposta (essendo considerata tardiva quella intervenuta in comparsa conclusionale), affrontando il tema rilevante di quale debba essere l’atteggiamento delle parti nel caso di una proposta del Giudice.

Le stesse, puntualizza la Corte salernitana, non possono “non prenderla in alcuna considerazione” avendo “l’obbligo di prendere in esame con attenzione e diligenza la proposta del Giudice”.

Ciò impone che, proprio per evitare un comportamento processuale per così dire passivo, esse debbono impegnarsi per aprire e intraprendere sulla sua base un dialogo e, in caso di non raggiunto accordo, di fare emergere comunque la rispettiva posizione al riguardo, pena la sanzione per responsabilità aggravata.

La sentenza quindi richiede, nella piena valorizzazione dell’istituto, che le parti interessate non si limitino ad accettare o respingere la proposta (non sembrando possibile al Tribunale modificarla, cosa verso la quale si esprime un misurato dissenso, essendovi anche orientamento giurisprudenziale contrario, v. Trib. Latina ordinanza 9/11/2023; Trib. Roma 26/9/2019).

Le stesse debbono quindi far emergere la loro posizione, proprio per evitare il

rischio sanzionatorio, anche nel caso di mancata accettazione, intervenuta nella fattispecie.

La proposta avanzata deve essere quindi presa in esame “con attenzione e diligenza” e non è consentito come visto non prenderla in esame, dovendosi favorire l’apertura di un “dialogo” in vista di un possibile ed auspicabile esito conciliativo.

Vi è una evidente analogia con la realizzazione di “un effettivo confronto sulle questioni controverse” previsto nell’art. 8 n.6 del D.Lgs 28/2010, a riprova della necessità di un impegno attivo per sviluppare una discussione relativa al merito della vicenda.

Solo dalla emersione delle reali posizioni delle parti, che vanno illustrate compiutamente, sarà possibile avviare un discorso costruttivo in presenza del quale soltanto sarà possibile evitare una condanna ex art. 96 c.p.c. conseguente all’abuso dello strumento processuale “anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per la manifesta inconsistenza giuridica e la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (Cass. n. 19948 del 12/7/2023).

La pronuncia si inscrive nel solco della giurisprudenza che ha già affrontato il tema della possibile sanzione per responsabilità aggravata in ipotesi di mancata  immotivata accettazione della proposta o di iniziale adesione non seguita da comportamento conseguente (v.Trib.Palermo sentenza n.90 del 9.1.2025; Trib.Latina sentenza n.2073/2024 del 31.10.2024; Trib.Pistoia 30.1.2018; Trib.Roma 30.10.2014).

I principi di lealtà e probità e di economia processuale impongono quindi una concreta disamina della stessa, proprio per evitare il rischio di un abuso del processo legittimante la condanna ex art. 96 III comma c.p.c. da intendersi sanzione di carattere pubblicistico, applicabile d’ufficio, autonomamente rispetto a quelle dei primi due commi del medesimo articolo.

 

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