LA RIPETIBILITÀ DELLE SOMME UTILIZZATE DA UN CONIUGE
03/04/2023
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Commento alla ordinanza n. 5385/2023 emessa dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha stabilito che le rate del mutuo cointestato non sono ripetibili, anche se un solo coniuge le ha pagate in toto
Con l’ordinanza n.5385 del 21 febbraio 2023 la Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione analizza nuovamente, lo spinoso tema della ripetibilità delle somme utilizzate da un coniuge per l’adempimento delle obbligazioni contratte dalla coppia in costanza di matrimonio.
Oggetto della decisione è nel caso in esame la domanda proposta di ripetizione della somma corrispondente alla metà dei ratei del mutuo cointestato, che un coniuge in costanza di convivenza aveva integralmente erogato, adempiendo all’obbligazione di pagamento esistente anche a carico dell’altro coniuge.
La fattispecie sulla ripetibilità delle somme erogate da un coniuge nell’interesse della coppia o del nucleo familiare, è stata per lungo tempo argomento divisivo in dottrina e nella giurisprudenza di legittimità e di merito, che con motivazioni tra loro spesso dissonanti ha fornito decisioni contrastanti, rigettando in alcuni casi la domanda di restituzione pro quota delle somme corrisposte per l’adempimento della obbligazione costituita dai ratei di mutuo ed accogliendola invece in altri.
Con la ordinanza indicata, la Corte di Cassazione pone fine al contrasto interpretativo con argomentazioni dirimenti, muovendo dall’analisi puntuale del contenuto precettivo dell’art. 143 cc. Il tema centrale dell’ordinanza, tralasciando nel nostro excursus le questioni di carattere procedurale che non hanno rilievo in questa sede, è quindi quello della ripetibilità delle somme erogate da un coniuge per il pagamento dei ratei del mutuo cointestato ai coniugi, allorquando, nella fase di dissoluzione della coppia, vengono meno le motivazioni che avevano indotto il coniuge erogante a provvedere a tale adempimento in via integrale ed esclusiva.
Per brevi linee la vicenda di merito che ha originato la decisione.
Successivamente alla conclusione del procedimento di separazione personale, il marito proponeva ricorso ex art. 702 bis cpc rivendicando la restituzione della quota del 50% dei ratei del mutuo ipotecario cointestato gravante sulla casa familiare, che entrambi avevano acquistato in comproprietà, assumendo egli di aver provveduto all’integrale pagamento dei ratei del mutuo e di aver, in conseguenza, maturato il diritto alla restituzione del 50% degli importi corrisposti all’istituto bancario mutuante.
Respinta dal Tribunale di Treviso, ed in secondo grado dalla Corte di Appello di Venezia la domanda, il richiedente proponeva ricorso dinanzi la Corte di Cassazione articolando ben undici motivi, i primi sei dei quali incentrati sulla violazione (nell’ordine) degli artt. 115 cpc, 116 cpc, art. 112 cpc, 132 cpc ed ancora degli artt. 1298 e 1299 cc e dell’art. 143 cc e dell’art. 2729 cc con i quali il ricorrente si doleva della errata valutazione delle prove e delle dichiarazioni rese dalle parti avanti al Giudice di merito e, in particolare, della erronea applicazione dell’art. 143 cc.
Alla disamina di tale ordinanza della Corte, è opportuno premettere una pur breve analisi del contenuto precettivo dell’art. 143 cc, nella parte in cui delinea l’insieme dei diritti e dei doveri che sorgono dal rapporto di coniugio.
Il principio di solidarietà coniugale
Nel disegno del nostro legislatore, il matrimonio si fonda sul principio non derogabile di solidarietà morale e materiale, la cui violazione può, in presenza di determinate e comprovate condotte, dare luogo anche alla pronuncia di addebitabilità della separazione personale a carico del coniuge violante.
Il principio di solidarietà si estrinseca in vario modo, in relazione all’aspetto della vita coniugale che si prende in considerazione: si fa riferimento all’obbligo di fedeltà, all’obbligo di assistenza morale e materiale, al dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia e, ciò che più ci interessa in questa sede, al dovere di ciascun coniuge di contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione alle proprie capacità economiche e di lavoro professionale e/o casalingo.
Di particolare interesse sono l’obbligo di assistenza materiale e quello di contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione alla propria capacità reddituale e patrimoniale od assicurando al nucleo familiare cure ed accudimento, funzioni che sono considerate equiparate sin dalla entrata in vigore della Riforma del diritto di famiglia del 1975 (e dei successivi interventi della dottrina e della giurisprudenza), riconoscendo la novella pari valore al contributo economico ed a quello reso in termini di accudimento e di lavoro domestico ai fini dell’adempimento degli obblighi previsti dall’art. 143 cc.
Il sistema normativo introdotto con la riforma del 1975, e con i successivi adeguamenti, ha quindi delineato la famiglia come luogo di autorealizzazione e di crescita dei coniugi, all’interno del quale ciascuno di essi offre il proprio contributo alla realizzazione degli obiettivi comuni al nucleo familiare e dell’altro coniuge. In concreta attuazione di tale indirizzo, il nucleo familiare è pervaso dalla reciproca collaborazione nella gestione e conduzione della vita familiare non soltanto nell’interesse della prole, bensì anche dell’altro coniuge. Su tale aspetto assume rilievo la circostanza che la violazione di tali obblighi può essere valutata anche in sede penale quale sussistenza di estremi di reato, in virtù della prescrizione dell’art. 570 c.p.
Orbene, accade di frequente che, nell’adempimento dell’obbligo di contribuzione al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare, uno dei coniugi decida di impiegare le risorse provenienti dall’esercizio dell’attività lavorativa, o il patrimonio personale, a beneficio dell’altro coniuge, nel perseguimento di un interesse comune: uno dei casi più frequenti concerne proprio l’acquisto della casa familiare, allorquando i coniugi prevedano di provvedere in parti eguali al pagamento dei ratei di mutuo gravanti sull’abitazione comune di proprietà di uno solo dei due o quando sia un solo coniuge, che gode di maggiori risorse economiche, a provvedere in via esclusiva ed integrale al pagamento dei ratei del mutuo contratto per l’acquisto in comproprietà dell’immobile.
La decisione inerente alle modalità di adempimento dell’obbligazione ed alla individuazione del coniuge che vi provvede assume rilevanza nella fase di disgregazione della coppia coniugale, laddove, per contingenze di natura economica o per spirito di rivalsa o con intento ritorsivo, il coniuge che sino a quel momento aveva provveduto senza alcuna contestazione al pagamento dei ratei decide di non voler adempiere per il futuro, interrompendo l’erogazione delle somme a tal fine necessarie e richiedendo altresì la restituzione di quanto in precedenza erogato a tale titolo.
Per completezza espositiva, si rileva che la decisione assunta ed eseguita dai coniugi in costanza di matrimonio non ha, né lo potrebbe avere del resto, alcun rilievo rispetto al rapporto contrattuale concluso con la banca mutuante, poiché nei confronti di quest’ultima non possono opporsi gli accordi (relativi al pagamento dei ratei) intervenuti all’interno della coppia, né i diversi accordi sottoscritti in fase di separazione consensuale, né ancora quanto disposto, in merito all’adempimento di tale obbligazione, dal giudice della separazione nei provvedimenti provvisori ed urgenti o nella sentenza che definisce il procedimento separativo.
In altre parole, il cd accollo interno, che appunto inerisce agli accordi intercorsi tra i coniugi in relazione al pagamento dei ratei senza alcun coinvolgimento dell’istituto mutuante, non dispiega alcuna efficacia modificativa e/o estintiva delle obbligazioni assunte dal mutuatario con l’istituto di credito che quel mutuo ha erogato, esulando tale ipotesi dalla fattispecie di cui all’art. 1273 cc.
L’accollo cd interno può, quindi, qualificarsi come modalità di adempimento dell’obbligo di assistenza materiale e di contribuzione ai bisogni della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze. Non è, infatti, infrequente l’ipotesi in cui i coniugi procedano all’acquisto della casa familiare decidendo di cointestarsene la proprietà e, di conseguenza, il mutuo contratto per l’acquisto, anche allorquando uno dei due goda di una condizione reddituale che non gli consentirebbe di adempiere all’obbligazione di pagamento dei ratei e vi sia tra loro l’accordo, tacito o espresso, che sarà soltanto l’altro a corrispondere in via integrale ed esclusiva le somme destinate a tale pagamento.
Può tuttavia accadere, e spesso accade, che il coniuge soggetto attivo del cd accollo interno decida, nella fase di disgregazione della coppia, di non provvedere ulteriormente all’integrale adempimento dell’obbligazione ed anzi chieda all’altro coniuge la restituzione della quota dei ratei, gravante su quest’ultimo, sino a quel momento erogati.
E’ questa la fattispecie oggetto dell’ordinanza in commento, con cui la Corte di Cassazione fa chiarezza sui contenuti precettivi dell’art. 143 cc, con espresso richiamo anche all’orientamento giurisprudenziale maggioritario e consolidato sull’argomento.
Invero, già con la sentenza n.20139 del 3 settembre 2013 la Corte di Cassazione, nel determinare le modalità di contribuzione di un genitore al mantenimento dei minori, aveva argomentato che
“in tema di separazione personale dei coniugi, il giudice può legittimamente imporre a carico di un genitore, quale modalità di adempimento dell'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli ,il pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare, trattandosi di voce di spesa sufficientemente determinata e strumentale alla soddisfazione delle esigenze in vista delle quali detto obbligo è disposto”.
Con la successiva sentenza n. 10942 del 27 maggio 2015, ed ancor più con la ulteriore ordinanza n.10927 del 7 maggio 2018, la Corte di Cassazione, ha confermato il precedente indirizzo interpretativo, enunciando quanto segue:
“poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316 bis cc, primo comma cc, a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio” (massima ufficiale).
Appare in tal modo definitivamente superato l’orientamento minoritario espresso in epoca risalente dalla Corte, che in alcune pronunce aveva al contrario affermato che l’integrale pagamento dei ratei del mutuo cointestato effettuato da un coniuge esula dalla nozione di adempimento degli obblighi di natura familiare, determinando in realtà un incremento del patrimonio che il coniuge beneficiario è tenuto ad indennizzare all’altro: cfr. Cass. sentenza n.5866 del 26 maggio 1995 e Cass. sentenza n.19454 del 9 novembre 2012.
L’ordinanza in argomento conferma l’orientamento maggioritario, recepito anche dai giudici di merito, escludendo la ripetibilità delle somme erogate da un coniuge a titolo di pagamento dei ratei del mutuo cointestato, ritenendo che tale pagamento è frutto di un accordo, tacito o espresso, raggiunto dai coniugi, accordo in forza del quale tale pagamento costituisce modalità di adempimento degli obblighi di assistenza materiale e di contribuzione al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare.
Come dedotto in premessa, con l’ordinanza n.5385 del 21 febbraio 2023 la Corte di Cassazione, attraverso la puntuale disamina della norma di cui all’art. 143 cc, pone una definitiva interpretazione della controversa e quanto mai attuale questione.
Nel rigettare il ricorso, la Corte di Cassazione osserva che i motivi formulati dal ricorrente sottopongono allo scrutino del Giudice di legittimità la tematica del dovere di contribuire ai bisogni della famiglia e della pretesa di ottenere la restituzione delle somme anticipate da un coniuge quando la comunione dei coniugi sia cessata, proponendo il ricorrente una soluzione interpretativa della norma che la Corte aveva da tempo confutato ritenendola in contrasto con il precetto di cui all’art. 143 cc.
La argomentazione della Corte prende le mosse dalla ricognizione di tale articolo, rubricato quale “diritti e doveri reciproci dei coniugi”, chiarendo che il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia si fonda sul pari valore del lavoro professionale e del lavoro casalingo, entrambi finalizzati al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare.
Di tali doveri nella motivazione della ordinanza si fa un’ampia ricognizione, citando ad esempio il dovere di mettere a disposizione della famiglia l’abitazione di cui si era proprietari prima delle nozze, la contribuzione al pagamento delle spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile di proprietà dell’altro coniuge ove la famiglia dimora, il provvedere alle incombenze domestiche e prestare ai figli cure ed accudimento.
La Corte prosegue precisando che il dovere di contribuzione potrà essere, in relazione alla organizzazione familiare, diversamente disciplinato dai coniugi, ad esempio concordando che uno dei due svolga la sua attività lavorativa a tempo pieno mentre l’altro (con l’approvazione esplicita o implicita dell’altro coniuge) in mobilità part – time, dedicando parte della giornata alla cura della casa ed all’accudimento della prole; o, che soltanto uno dei coniugi svolga attività lavorativa esterna, mentre l’altro la svolge all’interno della famiglia prestando cure ed accudimento. Ciò, prosegue la Corte, costituisce diretta conseguenza della totale equiparazione, almeno sotto il profilo strettamente giuridico, del lavoro professionale e di quello casalingo, ai quali viene riconosciuta pari dignità nell’ottica di collaborazione e contribuzione nell’interesse della famiglia.
Argomenta la Corte che tutte le attività menzionate vanno ricondotte alla categoria degli obblighi di natura personale, la cui funzione è proprio quella di adempiere all’obbligo di solidarietà familiare; poiché le norme in materia non stabiliscono (né lo potrebbero) la misura minima del contributo gravante su ciascun coniuge, la valenza e la sufficienza della contribuzione da ciascuno prestata al soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare devono di volta in volta essere commisurate alla condizione reddituale e patrimoniale di ciascun coniuge e/o alla qualità e quantità delle attività domestiche di cura e di accudimento svolte nell’interesse del nucleo familiare.
In tale ottica di solidarietà familiare, secondo l’articolato ragionamento della Corte deve escludersi (salvo sia fornita prova contraria) la ripetibilità delle attribuzioni eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita comune. In particolare, qualora uno dei coniugi provveda all’integrale pagamento dei ratei del mutuo cointestato, deve escludersi che egli possa in un momento successivo alla cessazione della convivenza matrimoniale richiedere la restituzione della metà delle somme erogate all’altro, dal momento che tale condotta, volontariamente agita anche utilizzando le maggiori risorse economiche di cui si dispone, costituisce adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 cc e deve valutarsi quale manifestazione del dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia e di solidarietà coniugale.
Con la decisione in esame la Corte di Cassazione, armonizzando la dottrina maggioritaria in argomento con le precedenti citate decisioni, ribadisce il principio secondo cui l’obbligazione contributiva prevista e disciplinata dall’art. 143 cc, fondata sull’obbligo di assistenza morale e materiale nell’interesse della prole e del coniuge, esclude la ripetibilità delle somme impiegate da un coniuge per il soddisfacimento dei bisogni e degli interessi della famiglia, trattandosi di una prestazione economica doverosa, il cui apporto viene bilanciato dalle attività di cura e di accudimento del nucleo familiare svolte dall’altro coniuge ciò anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo non goda di un reddito di misura tale da consentirgli di partecipare alla gestione della famiglia offrendo un apporto economico.
Da ciò consegue che: provvedere in tutto o in parte al mantenimento del coniuge; porre a disposizione del nucleo familiare un immobile di proprietà esclusiva; erogare integralmente le somme necessarie al pagamento dei ratei del mutuo cointestato che grava sulla abitazione familiare; partecipare alle spese di gestione del menage familiare ed anche assicurare periodi di vacanza o acquistare beni di consumo destinati all’uso dei familiari non determina l’insorgere di un diritto di credito nei confronti dell’altro coniuge, trattandosi di erogazioni finalizzate al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare ed, in quanto tali, irripetibili ex art. 143 cc.
A tale principio, argomenta la Corte, può farsi eccezione unicamente nella diversa ipotesi in cui il coniuge, il quale pretende di ottenere la restituzione delle somme anticipate, possa dimostrare che l’erogazione sia avvenuta per una causa diversa, quale ad esempio un prestito all’altro coniuge. In tal modo, a parere della scrivente, si intende superare il discrimine in precedenza evidenziato dalle pronunce di legittimità, costituito dalla mancanza di proporzionalità ed adeguatezza dell’esborso alla condizione economica e patrimoniale del coniuge che aveva provveduto alla erogazione.
È opportuno ricordare che nelle precedenti decisioni la Corte di Cassazione in ipotesi simili a quella in esame aveva valutato quale fondata ed ammissibile l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 cc nel caso in cui un coniuge aveva corrisposto ingenti somme per apportare migliorie o procedere alla ristrutturazione della casa familiare di proprietà dell’altro coniuge, ritenendosi che tale apporto in denaro esula dalla nozione di adempimenti dei doveri familiari (Cass. Sezione III sentenza n.18632 del 22 settembre 2015; Cass. Sezione III sentenza n.25554 del 30 novembre 2011).
In altre pronunce la stessa Corte aveva accolto la domanda di restituzione delle somme erogate da un coniuge per eseguire migliorie sull’immobile di proprietà dell’altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, argomentando che il primo, in quanto possessore, aveva diritto ai rimborsi ed alle indennità previste dall’art. 1150 cc (Cass. Sezione II sentenza n. 13259 del 9 giugno 2009).
Appare evidente che le argomentazioni svolte nella recente ordinanza n. 5385 del 21 febbraio c.a., consentono di ridurre il margine di discrezionalità che contrassegnava le precedenti decisioni di legittimità e di merito in materia di ripetibilità delle somme erogate da un coniuge nell’interesse della famiglia, laddove si riteneva di poter individuare la causa giuridica della attribuzione in un ipotizzato atto di liberalità o in un contratto di mutuo, tacito o espresso, concluso dai coniugi. Ciò in quanto, come la Corte espressamente argomenta
“in via generale ed astratta, può affermarsi che sono irripetibili tutte quelle attribuzioni che sono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune. L’erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza: diviene così irripetibile in quanto sorretta da una giusta causa”.
Non è stato, quindi, lasciato più alcun spazio per le valutazioni, in precedenza sorrette dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla proporzionalità della erogazione alla condizione reddituale e patrimoniale del coniuge, considerando preminente la sussistenza di un progetto di vita comune e di un comune obiettivo che i coniugi intendevano conseguire e che hanno concretizzato in costanza di unione.