IL LICEZIAMENTO DISCRIMINATORIO DEL LAVORATORE PORTATORE DI HANDICAP

di Silvia Ferri

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Una motivazione di carattere economico-organizzativa quale causa giustificativa del licenziamento di un lavoratore portatore di handicap non è sufficiente ad escluderne il carattere discriminatorio o indirettamente discriminatorio. Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 460 del 9 gennaio 2025, che giunge a tale conclusione pronunciandosi sul ricorso proposto da una dipendente portatrice di handicap avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che, in ragione “dell’elemento forte del motivo riorganizzativo accertato nel giudizio”,ha escluso aprioristicamente che il licenziamento della dipendente fosse discriminatorio con riferimento all'assenza per malattia.

La lavoratrice, unica dipendente con qualifica dirigenziale e portatrice di handicap, impugna il licenziamento intimatole, sostenendo che questo fosse discriminatorio in quanto disposto per la sopravvenuta condizione di disabilità e non per motivi organizzativi a cui si era appellato il datore di lavoro.

Sia nel primo grado che nel secondo grado di giudizio la domanda di impugnazione del licenziamento viene respinta, in quanto, secondo la Corte di Appello, la sussistenza di circostanze quali l’avvenuta soppressione della posizione di lavoro, la redistribuzione delle mansioni e la mancata sostituzione della lavoratrice preclude ex se la natura discriminatoria del licenziamento. In altri termini, secondo il giudice di secondo grado, l’esistenza del motivo riorganizzativo accertato in giudizio è sufficiente ad escludere la natura discriminatoria del licenziamento, con riferimento alla sopravvenuta condizione di handicap del lavoratore.

Nella motivazione di accoglimento del ricorso, la Suprema Corte premette che lo stato di salute della lavoratrice integra la nozione euro unitaria di disabilità, a cui si applicanole norme del D.Lgs. n. 216/2003 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, comprese le condizioni del licenziamento, mediante la tutela giurisdizionale del lavoratore.

Prosegue la Cassazione affermando che la tesi sostenuta dalla Corte di Appello si pone in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui la nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno nonché di diritto europeo, poste a tutela del lavoratore nelle ipotesi di trattamento discriminatorio sul lavoro (quali l'art. 4 della L. n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della L. n. 108 del 1990, nonché la direttiva n. 76/207/CEE), in quanto la natura discriminatoria del licenziamento non può essere esclusa dalla concorrenza di un’altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico.

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