I CONTROLLI CON AGENZIA INVESTIGATIVA SUL CORRETTO UTILIZZO DEI PERMESSI EX L. N.104/1992
28/04/2025
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Con ordinanza 30 gennaio 2025 n.2157, la Cassazione ribadisce la propria giurisprudenza in ordine ai controlli del datore di lavoro finalizzati alla verifica del corretto utilizzo dei permessi ex L. 104/1992 da parte del lavoratore.
La decisione offre lo spunto per ripercorrere le delicate tematiche dei controlli datoriali sul lavoratore e dell’utilizzo dei permessi concessi al lavoratore per l’assistenza o la cura di soggetti protetti tracciando la linea di demarcazione tra liceità ed illiceità del controllo, tra uso ed abuso dei permessi, attraverso l’individuazione delle finalità cui i controlli ed i permessi sono preordinati.
La decisione in commento origina dall’impugnazione proposta dal lavoratore avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia con la quale era stata confermata la legittimità del licenziamento per giusta causa, intimatogli per improprio utilizzo dei permessi concessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per l'assistenza alla madre.
A seguito di controlli disposti a mezzo di agenzia investigativa era emerso che il lavoratore, che usufruiva di due ore di permesso dalle ore 13.00 alle ore 15.00, in almeno sei giorni era giunto a casa intorno alle 13.00 e ne era uscito, circa un'ora dopo, in bicicletta da corsa e vestito con abbigliamento sportivo (scarpette, guanti, casco, occhiali) rientrando a casa intorno alle 17.00. Il datore di lavoro aveva pertanto intimato il licenziamento per giusta causa.
La legittimità del licenziamento per la Corte si basa sull’osservazione che la condotta tenuta dal lavoratore, caratterizzato da una preordinata reiterazione e sistematicità, denotasse, da un lato, che l'uso improprio dei permessi era ormai divenuto abituale e, dall'altro, il particolare disvalore della condotta, posta in essere per soddisfare esigenze puramente di svago del lavoratore.
Il lavoratore ricorreva per la cassazione di tale sentenza contestando in particolare le modalità di controllo dei lavoratori ritenendo utilizzabili informazioni acquisite in violazione dei principi di riservatezza e della vita privata del lavoratore.
La Corte giudica infondato il ricorso, ritenendo la sentenza “coerente con la giurisprudenza consolidata di questa Corte (da ultimo v. Cass. n. 30079 del 2024) secondo cui, fermo restando che il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un'agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera (tra le recenti, v. Cass. n. 17004 del 2024; in precedenza Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022), tuttavia le medesime pronunce affermano reiteratamente che il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di "atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale" (così ancora Cass. n. 9167 del 2023, che cita la giurisprudenza precedente); in particolare, è costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo dei permessi ex lege n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019; da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024)”.
La Corte considera altresì la sentenza impugnata conforme alla propria giurisprudenza in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l'assistenza o la cura di soggetti protetti (da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024), giurisprudenza che, pacificamente, ammette la legittimità del licenziamento intimato per giusta causa in caso di utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege n. 104 del 1992 per attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 de1 2016; Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019).
Osserva a tal proposito la Corte che “in coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile difetti non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016)”.
La Corte ricorda infine che la verifica in concreto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio dovrà avere ad oggetto, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. n. 7603 del 2023) “l'esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l'assistenza alla persona disabile, da intendere, come questa Corte ha già chiarito, non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall'obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile. Ciò senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all'assistenza in relazione all'orario di lavoro, purché risulti non solo non tradita (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalità del beneficio che l'ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati".
In definitiva, il permesso L. 104/1992 è posto a tutela di un interesse ritenuto superiore che non deve perciò essere frustrato o sminuito dall’abuso che potenzialmente se ne può fare. E’dunque la funzione, la finalità per la quale il permesso di assistenza è riconosciuto al lavoratore a fungere da guida necessaria ed imprescindibile per tutti i soggetti coinvolti.
Lo è in primis per il lavoratore, che dovrà utilizzare il permesso per dedicarsi al soddisfacimento prevalente delle necessità del familiare assistito e non come un pretesto per ritagliarsi del tempo libero aggiuntivo per sé. Ugualmente, il datore di lavoro subirà l’assenza del lavoratore senza considerarlo aprioristicamente un lavativo e disporrà pertanto i controlli nei limiti in cui gli stessi siano sollecitati da ragionevoli dubbi in ordine all’uso improprio del permesso e non invece per scopi ritorsivi.
La funzione assistenziale del permesso, infine, costituirà la guida nella verifica in concreto del corretto utilizzo, da parte del lavoratore, del beneficio e/o, da parte del datore di lavoro, del proprio potere di controllo e disciplinare.