Dumping contrattuale negli appalti privati

di Emiliano Lunghi

Stampa la pagina
foto

Il Tribunale di Milano, sezione lavoro, con decreto pubblicato il 4 dicembre 2025, emesso ex art. 28 della legge 300/1970, interviene con una delle prime applicazioni sistematiche del comma 1-bis dell’articolo 29 del decreto legislativo 276/2003. La norma, introdotta con il decreto-legge 19/2024, prevede che al personale impiegato nell'appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto.

La controversia sottoposta al Giudice del Lavoro sorge dal ricorso di un’organizzazione sindacale, firmataria del CCNL vigilanza e servizi di sicurezza, riconosciuto come contratto leader del settore, che deduceva la condotta antisindacale delle società resistenti. Queste applicavano ai lavoratori impiegati negli appalti trattamenti inferiori, derivanti da altri contratti collettivi, ritenuti non equivalenti rispetto al contratto “paradigma”.

Il Tribunale, applicando la nuova disposizione normativa, ha considerato condotta antisindacale l’applicazione, da parte del datore di lavoro, di un contratto collettivo contenente trattamenti peggiorativi rispetto a quello stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Il giudice riconosce che l’articolo 29, comma 1-bis del decreto legislativo 276/2003 attribuisce al sindacato più rappresentativo una funzione istituzionale di tutela del mercato del lavoro: esso individua il CCNL “paradigma” e impone nell’appalto un trattamento non inferiore rispetto ad esso. La violazione di tale previsione, secondo il Tribunale, non incide solo sui diritti individuali dei lavoratori, ma lede le prerogative collettive del sindacato, integrando l’ipotesi di antisindacalità ex art. 28 dello statuto dei lavoratori.

Di rilievo il percorso logico utilizzato per verificare la rappresentatività comparata della sigla ricorrente: il giudice valorizza la consistenza associativa, la diffusione territoriale, il ruolo negli organismi istituzionali, l’ampiezza della contrattazione stipulata e, soprattutto, il grado di effettiva applicazione del CCNL nel settore della vigilanza, richiamando i dati del CNEL e il decreto ministeriale che ne riconosce la natura di contratto leader. Inoltre, per accertare la non equivalenza dei trattamenti economici e normativi, il Tribunale di Milano, ricorre, in via analogica, ai criteri indicati all’art. 4 dell’allegato I.01 del codice dei contratti pubblici, distinguendo tra equivalenza economica - basata sulle componenti fisse della retribuzione globale annua - ed equivalenza normativa, valutata attraverso una pluralità di istituti (malattia, maternità, infortunio, ferie, straordinario, bilateralità, previdenza e sanità integrativa).

La comparazione tecnico-giuridica, svolta mediante CTU, conferma significative divergenze e un numero di scostamenti ben superiore al limite di tolleranza individuato dalle delibere interpretative dell’Autorità nazionale anticorruzione. Il Tribunale ha quindi ordinato alle società resistenti l’applicazione a tutti i lavoratori impiegati negli appalti di parametri retributivi e normativi complessivamente non inferiori a quelli stabiliti dal CCNL vigilanza e servizi di sicurezza, accogliendo, altresì, la richiesta di astreinte ai sensi dell’articolo 614-bis del codice di procedura civile, ritenendo la norma applicabile ai procedimenti ex art. 28 dello statuto dei lavoratori, in quanto non riguardano diritti individuali ma prerogative collettive. Respinge, invece, l’istanza di pubblicazione del provvedimento.

Altri in DIRITTO