Covid-19: i riflessi sulla “privacy” dei soggetti privati di libertà

di Emanuele Nagni

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L’emergenza sanitaria, dovuta alla pandemia del Covid-19, ha richiesto l’adozione di misure sempre più restrittive, che hanno portato alla massima limitazione degli spostamenti delle persone fisiche, anche all'interno dello stesso comune di residenza, e alla chiusura o alla limitazione delle attività produttive.

La lotta a questo nemico invisibile rappresenta ora la priorità, ma non si può omettere di salvaguardare altri valori costituzionalmente garantiti, la cui compromissione costituirebbe un grave vulnus ai valori democratici cui è ispirato il nostro paese.

Tra questi assume rilievo preminente quello dell’inviolabilità della “libertà” e della “segretezza” della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, riconosciuti in capo ad ogni individuo dall’art. 15 della nostra Carta costituzionale.

Con riguardo alla popolazione detenuta, va fatto riferimento all’art. 1, comma 1, lett. y) del D.P.C.M. del 10 aprile 2020 che, di fatto, ha prorogato l’efficacia della Circolare del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, datata 21.03.20.

Con tale Circolare, in ossequio alla disposizione di cui all’art. 83, comma 16 del d.l. n. 18 del 17.03.20, si è data disciplina allo svolgimento, rilievo preminente quello dell’inviolabilità della “libertà” e della “segretezza” della corrispondenza, dei colloqui a distanza con congiunti o altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati di cui agli art. 18 della l. n. 354/1975, art. 37 del d.p.r. n. 230/2000 e art. 19 del d.lgs. 121/2018.

In sostanza, tali colloqui, avvengono in questo periodo emergenziale esclusivamente mediante l’ausilio di apparecchiature o collegamenti in disponibilità dell’Amministrazione penitenziaria e minorile o, ancora ed ove possibile, mediante corrispondenza telefonica.

Ciò perché la circolazione delle persone sul territorio nazionale, se giustificata dallo svolgimento dei colloqui con i detenuti, non è ammessa, salvo precise esigenze sanitarie comprovate da idonea certificazione medica e autorizzate dalla Direzione dell’Istituto penitenziario interessato. 

Sul piano concreto, ad oggi, l’Amministrazione penitenziaria si sta impegnando per attuare misure preordinate all'attenuazione del conseguente disagio, quali l’utilizzo senza costi del servizio di lavanderia, la ricevibilità di bonifici bancari oltre gli usuali limiti di accredito, l’acquisizione di oltre 1.600 dispositivi di telefonia mobile e il successivo acquisto di altrettante unità, al fine di incrementare i colloqui a distanza, anche attraverso l’utilizzo di piattaforme abilitate alla videochiamata.

Ciò senza alcuna spesa per tutta la popolazione di detenuti, compresi coloro che appartengono al circuito di alta sicurezza. 

In una simile prospettiva, tesa evidentemente ad alleviare il disagio causato dal nostro comune nemico invisibile, v’è però da chiedersi se tali misure possano compromettere l’ambito della “data protection”posto che la gran parte di tali piattaforme informatiche consentono la videoregistrazione del colloquio, senza alcuna sottoscrizione dei moduli per il consenso al trattamento dei dati personali. 

In tale contesto, che determina l’eterno e imprescindibile bilanciamento fra il versante dell’interesse collettivo e quello dell’incolumità individuale, sarebbe quindi auspicabile, oltre che una regolamentazione dell’impatto di tali misure sul fronte della privacy, una vera e propria valutazione globale e umana dei nuovi strumenti di comunicazione, specie per quei soggetti che, più di altri, presentino una sfera già di per sé compressa della propria libertà personale.  

Avv. Emanuele Nagni - Foro di Roma

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