Covid-19 e carcere

di Emanuele Nagni

Stampa la pagina
foto

Nello scorso mese di Agosto l’associazione Antigone ha pubblicato il rapporto del primo semestre 2020 delle carceri italiane, intitolato “Salute, tecnologia, spazi, vita interna: il carcere alla prova della fase 2”.

Il rapporto, in cui sono riportati gli esiti delle attività di monitoring condotte dall’Associazione, ha consentito di verificare come il sistema penitenziario del nostro Paese abbia affrontato la c.d. "fase due" dell’emergenza sanitaria da diffusione epidemiologica di Covid-19.

Ne è risultato che i dati raccolti all’interno di trenta istituti di pena, distribuiti in 9 regioni italiane, con 23.601 detenuti ospitati – circa il 44% di tutta la popolazione detenuta d’Italia – hanno evidenziato la significativa attenuazione degli effetti delle misure di contenimento del sovraffollamento penitenziario.

Più precisamente, secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2020, nei 190 istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, la capienza massima era pari a 50.692 unità, con 60.971 detenuti presenti, determinando un surplus pari al 20,3%.

Alla fine del mese di aprile il numero dei detenuti era invece sceso a poco meno di 54.000 (con una diminuzione di ben 7.326 unità), mentre nel periodo intercorrente fra i mesi di maggio e luglio, la situazione è rimasta fondamentalmente stabile, con sole 285 unità in meno.

Allo stato attuale, nel tempo in cui il Governo è tornato a contenere l’emergenza con sempre più frequenti DPCM, l’indice di affollamento è pari al 106,1%; a fronte di una capienza di 50.574 posti letto, i detenuti effettivi sono 53.921, con un sovraffollamento sceso del solo 6,6%.

Non mancano però criticità locali, giacché in alcune realtà si toccano soglie notevolmente superiori, come ad esempio nel carcere di Latina, che conta quasi il 200% del sovraffollamento carcerario.

Non bisogna dimenticare che la pandemia mondiale ha colpito anche i detenuti, seppur con casi sporadici e non particolarmente critici.

Dopo le proteste iniziali e gli inevitabili timori, le norme previste dal DPCM dell’8 marzo 2020 hanno consentito di circoscrivere la diffusione del contagio nell’ambiente penitenziario. I casi sintomatici registrati con i nuovi ingressi sono stati immediatamente isolati, i colloqui si sono svolti a distanza grazie alle tecnologie della modalità telematica e i permessi e la libertà vigilata sono stati sensibilmente ridotti.

Tali misure devono però essere accompagnate da controlli sempre più accurati, poiché la popolazione ristretta è molto sensibile al Coronavirus, anche in ragione della cronica circolazione di altri virus, soprattutto epatici, come l’HCV e l’HBV.

L’urgenza e la delicatezza della situazione ha indotto il Governo ad inserire nel “Decreto Legge del 28 ottobre 2020 n.137", ulteriori agevolazioni per i detenuti in carcere al fine di eliminare o quantomeno ulteriormente ridurre la problematica del sovraffollamento.

Per quanti devono scontare una pena residua inferiore ai 18 mesi, è stata introdotta la possibilità di continuare l’esecuzione della pena detentiva in detenzione domiciliare, , ricorrendo all’utilizzo del braccialetto elettronico salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non è superiore a sei mesi.

Inoltre, è stata prevista la possibilità di concedere licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà e permessi premio di durata straordinaria.

L’attualità e la delicatezza della questione aveva indotto il Governo a valutare il possibile inserimento nella bozza del “Decreto Ristori”, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 27 ottobre 2020, di ulteriori agevolazioni per i detenuti in carcere al fine di eliminare o quantomeno ulteriormente ridurre il sovraffollamento.

Era stata ipotizzata la possibilità di ricorrere all’utilizzo del braccialetto elettronico per quanti dovessero scontare una pena residua inferiore ai 18 mesi e più licenze per i condannati in semilibertà. Tuttavia, all’ultimo momento, entrambi i provvedimenti non sono stati inseriti nel testo finale varato.

Il Covid-19 ha poi evidenziato un’altra emergenza sanitaria: quella della salute mentale. Depressione, ansia e disturbi del sonno, durante e dopo il lockdown, hanno colpito più del 41% degli italiani.

Nelle carceri, questo ha aggravato ulteriormente una situazione già critica, se solo si pone mente ai casi (in rapida crescita) di dipendenza da sostanze psicoattive, di disturbi nevrotici e psicotici, della personalità e del comportamento, oltre che da spettro schizofrenico.

Alla luce di tali considerazioni, si auspica che questa nuova fase dell’epidemia diventi “occasione” per l’esecuzione di test combinati, che possano indagare non solo l’insorgenza del nostro comune ‘nemico invisibile’, ma anche delle patologie preesistenti nei 190 istituti penitenziari del nostro Paese, non sempre conosciute o identificate prima di oggi.

Avv. Emanuele Nagni - Foro di Roma


Altri in DIRITTO