AUTOPSIA E DIRITTO DI PARTECIPAZIONE DEI FAMILIARI ALL’ESAME SETTORIO

di Manuela Zanussi

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L'autopsia e il suo scopo

L'autopsia (o esame post mortem), è un esame medico dettagliato e attento del corpo e dei relativi organi della persona dopo la morte per stabilirne le cause, le modalità ed eventualmente i mezzi che l'hanno causata.

Preliminarmente, è necessaria una precisazione: quella che comunemente viene definita con il termine generico di “autopsia”, in realtà si suddivide in due differenti figure: il riscontro diagnostico, a sua volta distinta in obbligatoria e facoltativa a seconda dei casi contemplati dall’art. 37, co. 1 e 2, D.P.R. 285/1990 (Regolamento di Polizia Mortuaria) e l’autopsia giudiziaria.

La distinzione tra le due tipologie di esami, di non poca rilevanza sul versante pratico, si coglie, in particolare, dall’esame congiunto tra l’art. 37 D.P.R. 285/1990 e l’art. 116 disp. att. c.p.p.

Nello specifico, ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 37, il riscontro diagnostico è finalizzato, nello specifico: alla verifica anatomica della diagnosi clinica; al chiarimento dei quesiti clinico-scientifici; al riscontro di malattie infettive e diffusive o sospette tali, ai fini dell'igiene pubblica; all’accertamento delle cause di morte di deceduti senza assistenza medica, trasportati in ospedale o in obitorio; all’accertamento delle cause di morte delle persone decedute a domicilio quando sussiste dubbio sulla causa stessa.

Partecipazione dei familiari all'autopsia

A tali ipotesi, inoltre, si aggiunge l’ulteriore previsione di cui al comma 2-bis dell’art. 37, introdotto dall’art. 4 (Trasparenza dei dati) della L. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco), che consente ai familiari congiunti di un paziente deceduto di “concordare con il direttore sanitario o sociosanitario l’esecuzione del riscontro diagnostico”, permettendo loro di far partecipare alle operazioni autoptiche un medico di propria fiducia: pur rilevandosi, ai fini di un eventuale accertamento di medical malpractice, l’opportunità di offrire ai familiari del defunto la possibilità di interloquire con la direzione sanitaria ed eventualmente intervenire con un proprio fiduciario alle operazioni, trattasi di ipotesi normativa caratterizzata da rilevanti limiti, i più evidenti rappresentati dalla non obbligatorietà dell’esame (salvo per i casi di cui all’art. 37, co. 1) e dal fatto che il riscontro diagnostico viene eseguito da un medico dipendente dell’Azienda Sanitaria potenzialmente responsabile del decesso.

Ai congiunti, pertanto, viene consentito unicamente di chiedere l’esame ed, eventualmente, di parteciparvi tramite un professionista delegato: non è quindi prevista la necessità di ottenere il consenso dei familiari o dei prossimi congiunti del defunto per l’effettuazione del riscontro diagnostico, né è consentita una loro opposizione, salvo che per quanto previsto dalla L. 2 febbraio 2006, n. 31 (“Disciplina del riscontro diagnostico sulle vittime della sindrome della morte improvvisa del lattante [SIDS] e di morte inaspettata del feto“), la quale impone il riscontro diagnostico, previo consenso di entrambi i genitori, in caso di: lattanti deceduti improvvisamente entro un anno di vita senza causa apparente e feti deceduti dopo la venticinquesima settimana di gestazione, anch’essi senza causa apparente.

Necessità di autopsia giudiziaria

In ogni caso, qualora emerga il sospetto che la morte del soggetto sia dovuta a reato, il professionista sanitario dovrà procedere a darne avviso all’Autorità giudiziaria ex art. 365 c.p., anche qualora gli elementi indiziari emergano nel corso dell’esame diagnostico che, pertanto, dovrà essere sospeso ai sensi degli artt. 39, co. 3, e 45, co. 5, del regolamento di Polizia Mortuaria.

Tale ultima considerazione, consente di cogliere la distinzione tra gli accertamenti previsti dal D.P.R. 285/1990 e l’autopsia giudiziaria, quest’ultima finalizzata, a differenza dei primi, all’accertamento di indizi di reato, come espressamente previsto dall’art. 116 disp. att. c.p.p.: pertanto, qualora sorga il sospetto che la morte di una persona possa configurare un’ipotesi di delitto procedibile d’ufficio, il medico sarà tenuto ad informare l’Autorità giudiziaria, la quale, a sua volta, procederà, se lo ritiene necessario, ad autopsia giudiziaria con le forme di cui all’art. 360 c.p.p. o mediante incidente probatorio.

Anche in tale ipotesi, infine, viene garantito il diritto alla partecipazione non dei prossimi congiunti genericamente intesi come nel caso del comma 2-bis dell’art. 37 D.P.R. 285/1990, ma dell’indagato e della persona offesa, oltre che dei loro difensori e dei consulenti tecnici di parte eventualmente nominati: pur non essendovi alcun riferimento ai familiari della vittima, appare evidente l’implicita inclusione degli stessi mediante il combinato disposto tra gli artt. 90, co. 3, c.p.p. e 307, co. 4, c.p.

Pertanto, pur con le criticità espresse con riguardo alla formulazione dell’art. 37 D.P.R. 285/1990 e, in particolare, del co. 2-bis del medesimo, ad oggi appare garantito quantomeno il diritto alla partecipazione del familiare sia in sede penale, come già da tempo previsto, sia, alla luce della Legge Gelli-Bianco, nell’ambito di riscontro diagnostico.


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