Abuso dello strumento giudiziario e condanna ex art. 96 terzo comma c.p.c.

di Pier Giorgio Avvisati

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La Cassazione con la sentenza  n. 16898/2019 ha focalizzato l’attenzione sulla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dall’art. 96 u.c.  c.p.c., ricollegandola sia alla necessità di contrastare il fenomeno dell’abuso del processo, sia alla evoluzione della categoria dei “danni punitivi”.

Nella  pronuncia la  Cassazione puntualizza che l’art. 96 comma 3 c.p.c. è applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza e configura una sanzione di carattere pubblicistico, distinta dall'ipotesi contenuta nell'art. 96 c.p.c. commi 1 e 2, con cui è pure cumulabile.

L’istituto mira al contenimento dell’abuso dello strumento processuale che, prescinde dall'accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, essendo sufficiente una condotta valutabile quale “abuso del processo” e cioè aver agito o resistito pretestuosamente non potendo vantare all'evidenza alcuna plausibile ragione, con conseguente applicazione della misura, di derivazione statunitense,  dei c.d. risarcimenti punitivi (Cass. SS.UU. 16601/2017).

Viene quindi sottolineata la funzione di deterrenza nei confronti di azioni o difese destinate solo ad aumentare il volume del contenzioso, ostacolando la ragionevole durata dei processi pendenti  e una utilizzazione ragionevole delle risorse che occorrono per il buon andamento della giurisdizione.

Si richiamano nella detta pronuncia l’art. 6 CEDU, volto a garantire universalmente l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti ed il principio della ragionevole durata dei processi ex art. 111 Cost., che richiedono la necessità di strumenti di dissuasione rispetto a domande meramente dilatorie, con la coerente sanzione dell’abuso dello strumento giudiziario (Cass. SS.UU. 12310/2015).

Condotte contrarie al principio di buona fede e lealtà violano quindi l’interesse pubblico ad una giustizia sana e funzionale, aggravando il ruolo dei Magistrati e rallentando i tempi di definizione dei processi in danno delle altre cause ragionevoli e supportate da solidi elementi.

Viene, infine, fatto esplicito riferimento al “primo filtro valutativo” rimesso alla prudenza del ceto forense, sicuramente ricollegabile alla funzione sociale dell’Avvocatura.

Da ultimo anche Cass. 3/10/2019 n. 24649 ha ritenuto applicabile l’art. 96 comma 3 c.p.c. per chi ha agito o resistito con la coscienza della infondatezza  dell’azione o eccezione o “senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza della infondatezza della propria posizione”.

La stessa giurisprudenza di merito, ha di recente ritenuto, applicabile l’art. 96 u.c.  c.p.c., a quelle condotte collegabili ad una “negligenza tale da causare un ingiustificato allungamento dei tempi processuali” (Trib. Roma 20/12/2018) e contrarie al principio di lealtà in giudizio, che  “creano nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e spesso, da necessità impellenti o urgenza” con la conseguenza che il perseguimento “degli interessi pubblicistici che la norma mira a realizzare”, fa sì che “la condanna ai sensi della citata disposizione è attivabile d’ufficio senza la richiesta della parte e senza che quest’ultima dimostri di aver subito un danno…”.   (Trib. Velletri 20/12/2018).

Tutto ciò, in definitiva,  per responsabilizzare le parti dall’adottare iniziative giudiziarie fini a se stesse o palesemente infondate.

Avv Pier Giorgio Avvisati - Vice Presidente COA Latina

 

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