Sulla responsabilità dell'avvocato niente nuove.....buone nuove
22/03/2016
Stampa la paginaNel caso specifico, l’avvocato aveva chiesto il compenso per la sua assistita, ma il cliente (nella specie un Comune) aveva eccepito che il legale aveva presentato appello ad un giudice incompetente, con le varie conseguenze. Il giudice di prime cure aveva riconosciuto il diritto del legale al compenso (pur molto ridimensionato) e la Corte d’Appello, adita dal Comune, aveva sostanzialmente confermato la decisione di prime cure.
La Corte era stata chiamata ad accertare se tale avvocato dovesse essere ritenuto responsabile, ex art. 1176 comma 2 c.c.
Il Cliente insoddisfatto ha presentato ricorso in Cassazione per chiedere che “l’errata individuazione del giudice davanti a cui proporre impugnazione costituisca per l’avvocato ipotesi di violazione dei doveri di diligenza professionale ai sensi dell’articolo 1176 codice civile, comma 2”. Aggiungendo che, ove la risposta dovesse essere positiva,”si dovesse ritenere applicabile anche il principio della perdita del diritto al compenso professionale per l’attivita’ svolta”. Ad avviso del ricorrente la proposizione dell’appello ad giudice non competente sarebbe un tipico esempio di imperizia. Il cliente infieriva ulteriormente richiedendo alla Corte l’accertamento dell’imperizia professionale ex art 2236 cc senza tener conto delle difficoltà sostanziali e procedurali comportati dalla particolare materia (si controverterà in tema di usi civici).
La Corte ha invece considerato che nella fattispecie era applicabile un complesso sistema normativo ed una articolata disciplina delle impugnazioni non accertando quindi a carico del legale la responsabilità invocata.
Non pare accettabile al ricorrente che il giudicante abbia affermato che le conoscenze dell’avvocato medio dovrebbero limitarsi alle materie oggetto di preparazione per l’esame di abilitazione, tra le quali non rientra quella oggetto del caso de quo (osservazione che potrebbe far indignare l’attento lettore). È pur vero che il professionsita ha proposto appello e non ricorso per cassazione quando non era abilitato alle magistrature superiori, come se tra le righe, il cliente facesse intendere che la scelta del giudice è stata dettata dall’impossibilità di patrocinio dell’avvocato stesso.
Al riguardo poi il ricorrente richiama il precetto deontologico secondo il quale il professionista ha il dovere di informare il cliente in merito alla propria competenza a svolgere l’incarico.
E’ naturale che ci si domanda se l’avvocato è sempre in qualche modo responsabile se il cliente perde la causa o ancora, è ragionevole chiedersi se l’avvocato è chiamato a vincere sempre? La Corte offre una risposta giuridica che mantiene gli orientamenti pregressi, esaminando gli indici di accertamento della asserita responsabilità del professionista valutando l’infondatezza dei motivi che nella fattispecie erano stati addotti con analisi che assumono valore generale. Come è noto, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto l’avvocato e in genere il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. In particolare, nell’esercizio della sua attività di prestazione d’opera professionale, l’avvocato si fa carico non già dell’obbligo di realizzare il risultato (peraltro incerto e aleatorio) che questi desidera, bensì dell’obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata. Pertanto, trattandosi dell’attività dell’avvocato, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita.
In altri termini, l’inadempimento del professionista (avvocato) non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, al dovere di diligenza. Quest’ultimo, peraltro – trovando applicazione in subiecta materia il parametro della diligenza professionale fissato dall’articolo 1176 codice civile, comma 2, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia – deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell’attività professionale in favore del cliente è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività di media preparazione professionale e attenzione (Cass. 3 marzo 1995 n. 2466; Cass. 18 maggio 1988 n. 3463). Perciò, la responsabilità del professionista, di regola, è disciplinata dai principi comuni sulla responsabilità contrattuale e può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo. Se la prestazione professionale da eseguire in concreto involge la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’articolo 2236 codice civile, solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente esclusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve (Cass. 11 aprile 1995 n. 4152; Cass. 18 ottobre 1994 n. 8470). L’accertamento se la prestazione professionale in concreto eseguita implichi o meno la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (cioè se la perizia richiesta trascenda o non i limiti della preparazione e dell’abilità professionale del professionista medio), è giudizio da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, comportando di regola l’apprezzamento di elementi di fatto e l’applicazione di nozioni tecniche, rimesso al giudice del merito. Nella decisione citata la Corte inoltre offre un importante spunto ove evidenzia che nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale una valutazione di diritto e come tale va affrontata nel giudizio di merito.
Tale valutazione si fonda infatti su di un ragionamento probabilistico di contenuto tecnico giuridico. Solo ove si tratti di problema tecnico di speciale difficoltà, la responsabilità va limitata alla colpa grave: la Corte è granitica nell’affermare e nel valutare le argomentazioni del giudice di primo e secondo grado circa la qualifica dell’attività come rientrante nell’area della specifica difficoltà di cui all’articolo 2236 codice civile, e solo in questo caso permette di (non escludere) la responsabilità dell’avvocato. Nel caso vi erano anche contrasti giurisprudenziali non indifferenti. Per la cronaca, il cliente riottoso ha visto cinque dei sei motivi di ricorso ma non le spese di lite che sono state compensate.
Avv. Cecilia Barilli - Delegata di Cassa Forense