PATTO DI QUOTA LITE E STIMA DEL COMPENSO PATTUITO

di Leonardo Carbone

Stampa la pagina
foto

Ascolta la versione audio dell'articolo

Cos'è il patto quota lite ?

Il patto di quota lite è l’accordo tra avvocato e cliente che attribuisce all’avvocato, quale compenso della sua attività professionale, una quota dei beni o diritti in lite.

Il patto di quota lite tra l’avvocato e la parte da lui assistita ha avuto una complessa evoluzione legislativa. Vietato in modo assoluto dall’art.2233, 3 comma, cod. civ., nella sua originaria formulazione, è divenuto lecito in base alla modifica di cui all’art. 2 del d.l. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2011.

Il divieto del patto di quota lite è stato ripristinato dall’art.13, comma 4 della l.n.247 del 2012, reintroducendo, quindi, il divieto del patto di quota lite,  norma che  statuisce esplicitamente il divieto dei patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, in tal modo reintroducendo il divieto del patto di quota lite.

Perchè il  divieto del patto di quota lite ?

La ratio del divieto del patto di quota lite (e quindi della cessione dei crediti litigiosi) è sempre stato individuato nell’esigenza di tutelare l’interesse del cliente nonché la dignità e la moralità della professione forense, impedendo la partecipazione del professionista agli interessi economici esterni della prestazione.

In ordine al periodo di validità del patto di quota lite – che si colloca tra il 2006 ed il 2012 e precisamente nell’intervallo temporale che va dall’entrata in vigore dell’art.2, comma 1, lett.a) del d.l. n.223/2006, come modificato in sede di conversione dalla l.n.248/2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art.13 l.n.247/2012  che ha ripristinato il divieto del patto di quota litesi è posto il problema della possibilità o meno di valutarne l’equità, e cioè se in presenza di un contratto stipulato tra l’avvocato ed il cliente che preveda  un compenso sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa, sia possibile o meno un controllo di ragionevolezza del patto di quota lite da parte del giudice.

Sulla riferita questione vi sono due filoni giurisprudenziali.

Un filone giurisprudenziale (Cass., sez.un., 12 dicembre 2014 n.26243) il quale ritiene che il sindacato giudiziale sull’adeguatezza e sulla proporzionalità della misura del compenso rispetto all’opera prestata trova il fondamento nell’art.2233, comma 2, cod. civ. e nell’art.45 del codice deontologico, con la conseguenza che l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità: se cioè la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo  che lega compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del  rischio.  Anche perché la norma deontologica che fissa il criterio di proporzionalità dei compensi dell’avvocato non rivela una portata limitata al rapporto corrente tra il professionista e l’ordine di appartenenza, e perciò rientra tra le fonti secondarie di integrazione del contratto di patrocinio ex art.1374 cod,civ., sì da contemperare gli opposti interessi delle parti e da imporre una verifica di adeguatezza delle clausole pattuite a garantire l’equilibrio economico dell’accordo.

Tale filone è stato confermato da Cass. 5 ottobre 2022 n. 28914, che, con una corposa motivazione, ha affermato che

Il patto di quota lite, stipulato dopo la formulazione del terzo comma dell’art.2233 cod.c iv. Operata dal d.l. n.223 del 2006, convertito in legge n.248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art.13 , comma 4, della legge n.247 del 2012, che non voli il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art.1261 cod.civ., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art.45 del codice deontologico  forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo, non risulta sproporzionata per eccesso rispetto  alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali”.

Altro filone giurisprudenziale (Cass. 6 luglio 2018 n.17726) ritiene invece che il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del d.l. n.223/2006, conv. n l. n.24/2006 (ma prima dell’entrata in vigore della l. n.247/2012) può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario né precetti riferibili ad un interesse generale, né le violazioni del codice deontologico, né le eventuali sproporzioni tra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare una non prevista nullità del patto, ma, al limite, una riconduzione ad equità. 

Altri in AVVOCATURA