Le liberalizzazioni risolveranno i problemi dell'Italia?

di Avv. Roberto Di Francesco

Stampa la pagina

Si fa un gran parlare di liberalizzazioni ma in modo, invero, sempre generico e raffazzonato, quando dovrebbe invece parlarsi di possibilità di esercitare ogni attività economica, lavorativa e/o professionale, con specifico riferimento ad ogni singolo settore. Ed allora che significa liberalizzare?

Lasciare a tutti la possibilità di avviare qualsiasi attività? Anche una professione che, come quella forense, richiede necessariamente una particolare preparazione, quando non anche una vocazione, ad esercitare quell’attività?
La questione lungi dal rifugiarsi negli estremi del puro idealismo o del mero pragmatismo, e sgombrato il campo da facili illazioni che vorrebbero gli avvocati poco inclini a ripensare se stessi, pone una più profonda riflessione concernente la possibilità di sottomettere completamente la professione dell’avvocato alle regole del mercato e della concorrenza.
Che la professione forense abbia bisogno di rinnovarsi pare, infatti, ovvio e ben venga un’analisi seria e costruttiva sull’accesso alla professione, sulle specializzazioni, sul praticantato ed in generale ogni aspetto della professione.
Ma nel caso dell’avvocatura si parla a sproposito di necessità di liberalizzazioni perché, se per liberalizzazioni si vuole intendere la possibilità di chiunque di esercitare la professione, pur a determinate condizioni UGUALI PER TUTTI, allora la professione di avvocato è senz’altro liberalizzata oramai da decenni.
L’avvocato, ricordarlo non fa mai male, è colui che, in una collettività democratica e liberale, svolge l’arduo compito di permettere che tutti i cittadini possano esercitare i loro diritti fondamentali e inalienabili.
Il governo in carica sembra aver trovato propria formula magica della “liberalizzazione del mercato e delle professioni”, dimenticando che la ratio di alcune importanti garanzie dell’attività forense, come la previsione dei minimi tariffari, vennero storicamente predisposte per evitare che la libera concorrenza soffocasse la qualità della professione.


Senza apparentemente conoscere i veri problemi della categoria, dunque, il governo ha inteso predisporre una proposta di liberalizzazione nella quale ha previsto, oltre l’abolizione delle tariffe, l’obbligo di munirsi di polizza assicurativa per la responsabilità civile nonché perfino l’obbligo di predisporre e far sottoscrivere all’assistito un preventivo di spesa dichiarandogli il massimale dell’assicurazione per la responsabilità civile.
Come se oggi fosse possibile elaborare un preventivo di spesa quanto a nessuno è dato conoscere quali e quante attività oltrechè udienze dovrà fare in quella specifica causa.
Anziché prendersela con gli avvocati, il governo ben farebbe a dedicarsi ai problemi della giustizia con provvedimenti ponderati, non come quelli oggi predisposti evidentemente assemblati da soggetti e/o funzionari che nulla o poco sanno della realtà delle aule di giustizia avendo come riferimento ingannevoli dati generali (come ricordava Trilussa ne “La statistica”), non essendosi mai calati nella realtà quotidiana delle aule di giustizia.
Se è vero, come è vero, che il numero degli avvocati in esercizio in Italia sono circa 240.000, il problema non è dunque aumentare il numero di professionisti quanto quello di far funzionare la macchina giudiziaria.
L’avvocatura, infatti, è già libera, atteso che per esercitarla si pretende esclusivamente un necessario percorso di formazione (laurea in legge, tirocinio, esame di Stato), ma chiunque può accedervi!
Ed allora, non potendo essere l’accesso alla professione o il numero degli avvocati a dover essere liberalizzato, perché già numerosi, ed anzi eccedenti il necessario, ben conscio di ciò il governo, e con esso il Parlamento, hanno preso di mira le tariffe e gli ordini professionali, mettendo in atto anche una serie innumerevole di ostacoli alla possibilità di rivolgersi al Giudice per sentir affermare i propri diritti.
Così ha escogitato la mediaconciliazione obbligatoria, l’obbligo di istanza per evitare la perenzione dei giudizi giacenti in appello o in cassazione, l’aumento continuo del contributo unificato, addirittura prevedendone un aumento nei giudizi successivi al primo grado.
Pensano forse i nostri governanti che con siffatte “liberalizzazioni” riusciranno a risolvere i problemi dell’Italia?
Se lo pensano sono certo fuori dal vero!

Roberto Di Francesco

 

Altri in AVVOCATURA