La pratica forense, Bisanzio ed il diritto

di Giovanni Cerri

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All’imperatore Basilio I (867-886) della dinastia macedone si deve l’emanazione del Prochiron, un manuale di leggi in cui il diritto giustinianeo veniva rielaborato ed adattato alle esigenze locali. Tale ordinamento esercitò pure una notevole influenza sulla vita giuridica italiana, poiché venne applicato anche nelle regioni della penisola rimaste escluse dalla dominazione longobarda, ossia l’Italia meridionale (compresa la Sicilia), la Sardegna, l’Esarcato, la Pentapoli e la laguna veneta. 

Il d.p.c.m. 3 novembre 2020, all’art. 1, comma 9 lett. Z), dispone la sospensione delle prove scritte per l’accesso alle professioni, ivi compresa quella forense e, conseguentemente, ferve l’attesa tra i praticanti di conoscere il loro destino e, in divenire, il dibattito su alternative modalità di accesso alla professione. 

Un autorevole arresto di legittimità, depositato in pari data (Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza n. 24379/20 del 3 novembre 2020), ci consente di effettuare una ricognizione delle norme che sottendono all’iscrizione del praticante avvocato all’apposito registro presso i COA, nonché l’eventuale iscrizione “facoltativa” a Cassa Forense.

Quanto all’iscrizione nel registro dedicato basterà rinviare al chiaro disposto di cui all’art. 41, comma sesto lettera d) della Legge n. 247/2012, che tratta del tirocinio professionale. 

Per quanto attiene all’iscrizione facoltativa all’Ente previdenziale, invece, la norma di riferimento è contenuta nel Regolamento di Cassa Forense, emanato in attuazione dell’art. 21 della Legge n. 247/2012, che, all’art. 5, consente l'iscrizione del praticante all’Ente di previdenza, soltanto se già in possesso del Diploma di Laurea in Giurisprudenza a ciclo unico (con esclusione, quindi, dei praticanti-studenti nell'ultimo semestre del corso di laurea ex art. 41, comma 6°).

L’art. 3 del medesimo Regolamento, invece, si occupa della retrodatazione dell’iscrizione, consentendola agli avvocati, al momento della prima iscrizione ad un Albo, al fine di “recuperare” a fini previdenziali fino a cinque anni di iscrizione nel Registro dei praticanti; ciò, però, a partire da quello del conseguimento del Diploma di Laurea in Giurisprudenza e, in ogni caso, con esclusione di quegli anni in cui il tirocinio professionale sia stato svolto, per più di sei mesi, contestualmente ad attività di lavoro subordinato.

Poiché con la sentenza n. 24379/2020 gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto in base al quale è possibile l’iscrizione al registro dei praticanti, in forza dell’art. 41, comma sesto lettera d) della Legge Professionale, a patto che si tratti dell’ultimo semestre del corso di laurea (quinquennale cd a ciclo unico) e, dunque, “limitandola” ai soli studenti in regola con l’avanzamento curriculare ed escludendola per gli studenti “fuori corso”, ciò potrebbe costituire il viatico per indurre Cassa Forense a ripensare la norma regolamentare, consentendo agli studenti più virtuosi, iscritti già prima del conseguimento del diploma di Laurea al Registro dei praticanti, la facoltà (di certo non l’obbligo) di iscriversi all’ente previdenziale.

Ciò, ovviamente, “a domanda” dell’interessato, al fine di acquisire copertura “assistenziale” e maturare fin da subito anzianità contributiva, sempre utile anelando, quando sarà, al trattamento pensionistico.

Certo è che le Sezioni Unite, con motivazione allo stesso tempo ingegnosa e lineare, limitando l’iscrizione “anticipata” al Registro dei praticanti ai soli studenti in regola con l’andamento curriculare, mostra di prediligere le élite, rimandando di un semestre almeno l’avvio della pratica forense per tutti gli altri studenti, magari anche parimenti meritevoli.

Avv. Giovanni Cerri – Delegato di Cassa Forense

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