La Corte costituzionale ed il legislatore annullano il limite di età del minore italiano adottato per accedere all'indennità di maternità
11/12/2015
Stampa la paginaLa disposizione oggetto della pronuncia della Corte riguarda l’art 72 del decreto legislativo numero 151/2001 in base al quale se una libera professionista adotta un bambino italiano di età superiore ai sei anni non ha diritto all’indennità di maternità.Tale norma era in vigore per tutte le casse di previdenza dei liberi professionisti, compresa Cassa Forense.La Corte ha statuito che è senza ragione, anzi, viola i principi di eguaglianza e non rispetta la tutela del minore stesso, il condizionare al limite dei sei anni di età del figlio l’erogazione del beneficio soltanto alle madri che adottino un minore di nazionalità italiana. Secondo la Corte, il precetto determina diversificazioni prive di una precisa ragion d’essere e pregiudica sia l’interesse della madre sia quello del minore, sia la funzione stessa dell’indennità di maternità, da riconoscersi senza distinzioni tra categorie di madri lavoratrici e tra figli.Esaminiamo il fatto: la SENTENZA N. 205 /ANNO 2015 è stata pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale ordinario di Verbania nel procedimento vertente tra un iscritta e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza ragionieri e periti commerciali.Nel giudizio di rimessione il giudice esponeva di dover valutare la legittimità del diniego della giunta esecutiva della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali della richiesta di una iscritta di beneficiare dell’indennità di maternità, poiché detto diniego era incentrato sul rilievo che il minore avesse già compiuto il sesto anno di età «all’atto di ingresso nel nucleo familiare».
La Corte espone e sintetizza in poche righe il senso e la finalità dell’istituto dell’indennità di maternità individuandone la funzione specifica: “all’originaria funzione di tutela della donna, scolpita nella stessa denominazione del beneficio, si affianca una finalità di tutela dell’interesse del minore, che l’opera del legislatore e dell’interprete ha enucleato in maniera sempre più nitida”. È proprio tale finalità che ispira, sul versante legislativo, la progressiva estensione del trattamento di maternità anche alle ipotesi di affidamento e adozione. Il beneficio dell’indennità di maternità costituisce attuazione del dettato costituzionale, che esige per la madre e per il bambino «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.).Inoltre, nell’affermare l’esigenza di una tutela incisiva, la Carta fondamentale associa la madre e il bambino e sceglie di collocarli in un orizzonte comune.In questa prospettiva, l’interesse del minore, che trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre, reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità. Nel caso di affidamento e di adozione, tali esigenze si atteggiano come necessità di assistenza nella delicata fase dell’inserimento in un nuovo nucleo familiare. Proprio per questa nuova pienezza di significato, l’interesse del minore non può patire discriminazioni arbitrarie, legate al dato accidentale ed estrinseco della tipologia del rapporto di lavoro facente capo alla madre. Nel negare l’indennità di maternità soltanto alle madri libere professioniste che adottino un minore di nazionalità italiana, quando il minore abbia già compiuto i sei anni di età, la disciplina si pone in insanabile contrasto con il principio di eguaglianza e con il principio di tutela della maternità e dell’infanzia. Soltanto per la madre libera professionista che scelga la via dell’adozione nazionale, permane quel limite dei sei anni di età del bambino, che il legislatore ha superato per i lavoratori dipendenti (legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2008»), la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima tale norma per la madre libera professionista, che opti per l’adozione internazionale (sentenza n. 371 del 2003).
Tale disparità di trattamento sarebbe priva di ogni ragion d’essere, e sarebbe disarmonica rispetto ai precetti costituzionali, che impongono di «supportare in modo effettivo le famiglie e soprattutto le donne, le quali si trovano a sostenere l’arduo compito di far coesistere il loro ruolo di lavoratrici con quello di madri e di conseguire l’interesse dei minori, i quali hanno diritto ad una crescita serena» ed ad uno sviluppo armonico della personalità. La limitazione normativa sarebbe lesiva anche dei diritti della donna lavoratrice, chiamata a conciliare il ruolo di madre con il ruolo di lavoratrice, indifferentemente dalla nazionalità del minore. Ricordiamo che il legislatore inizialmente aveva limitato la tutela delle madri lavoratrici alle sole dipendenti (art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, in tema di «Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»), poi la tutela è stata estesa alle madri lavoratrici autonome (art. 2, comma 2, della legge 29 dicembre 1987, n. 546, che racchiude la disciplina della «Indennità di maternità per le lavoratrici autonome») e le madri libere professioniste (art. 3, comma 1, della legge 11 dicembre 1990, n. 379, avente ad oggetto la «Indennità di maternità per le libere professioniste»). Ora infine le novità introdotte dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183) si prefiggono di armonizzare la disciplina dell’indennità di maternità anche con riferimento al limite di età del bambino adottato. In tale quadro si inscrive l’art. 20 del d.lgs. n. 80 del 2015, che, con previsione di carattere generale, svincola l’erogazione dell’indennità dal requisito del mancato superamento dei sei anni di età del bambino.Per effetto della norma transitoria dell’art. 28, tale disciplina si applica soltanto a partire dal 25 giugno 2015, giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quindi tali norme non dispiegano alcuna influenza sui giudizi pendenti, tra cui quello oggetto di questa segnalazione. I principi ispiratori della Carta Costituzionale non cessano di offrire spunti di riflessione e di valutazione del diritto vigente.
Avv. Cecilia Barilli – Delegata di Cassa Forense