Intervento alla VII Conferenza Nazionale dell'OUA

di Alberto Bagnoli

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Il tema sul quale siamo stati convenuti è quello del ruolo dell’avvocatura nella riforma della giustizia civile e penale, ossia di quei settori maggiormente in rischio di default, con conseguenze negative gravissime sull’assetto sociale ed economico del Paese. Ma ci sono anche altri settori, con significative criticità, la giustizia amministrativa, quella contabile, quella tributaria.
Siamo tutti d’accordo, uno Stato che non garantisce un efficiente servizio giustizia ai cittadini viene meno ad una funzione primaria, genera pericolose derive sociali al proprio interno e non può meritare la fiducia internazionale.
Quella della giustizia è certamente una crisi organizzativa, che deve fare i conti però con una domanda sempre più crescente, e ciò significa che siamo in presenza di una grave crisi di legalità nel nostro Paese, che richiede non soltanto terapie, ma principalmente interventi di forte prevenzione in tutti i campi, pubblico e privato.
Tutti i soggetti responsabili che operano nel settore devono quindi collaborare, in sinergia, e fare la loro parte, per adottare con urgenza i rimedi necessari ed ineludibili ad una condizione ormai insostenibile, senza difese corporative, senza addossare la colpa gli uni agli altri, ma ricercando il consenso sulle misure da adottare con il metodo del confronto e del dialogo, chiedendo a ciascuno di non chiudersi in posizioni oltranziste e però garantendo a ciascuno di svolgere il proprio ruolo essenziale senza mortificare i principi ed i valori che sono il rispettivo patrimonio insopprimibile.
E’ un impegno di rilevanza costituente, che richiede il massimo senso di responsabilità istituzionale e la ricerca di riforme che siano al tempo stesso giuste e concretamente incisive.
Ho sempre ritenuto che l’Avvocatura non si sia mai tirata indietro nell’offrire tutta la propria fattiva disponibilità e collaborazione sia ai processi di miglioramento dell’ordinamento sia al funzionamento dei servizi, anche con compiti di supplenza. e di questo sono testimoni tutti i rappresentanti degli ordini forensi qui presenti.
Ancora oggi è così e questa conferenza ne è la migliore conferma.


Ma inevitabilmente gli eventi economici e politici degli ultimi mesi, con i conseguenti interventi legislativi, le varie manovre finanziarie sinora intervenute, ci inducono ad allargare il tema della conferenza a problematiche più generali della riforma della giustizia civile e penale, problematiche che riguardano i fondamentali del servizio giustizia, e cioè la permanenza di un’avvocatura autonoma ed indipendente, che svolge la funzione costituzionale della difesa dei diritti, che non grava sul bilancio dello Stato, che contribuisce alla crescita del PIL, e che subisce un attacco senza precedenti attraverso un progetto di c.d. liberalizzazione dei servizi professionali legali, che si traduce in un vero e proprio attentato alla libera professione forense.
Peraltro un progetto ancora ignoto (o peggio noto a qualcuno e ancora celato), le cui avvisaglie si manifestano con la programmata riforma degli ordini professionali e l’apertura alle società professionali di capitale.
Un progetto che finora è stato anticipato soltanto da un aumento dei costi della giustizia (parlo della mediaconciliazione e dell’incremento spaventoso dei contributi unificati, anche per le cause di lavoro), senza alcun equivalente incremento delle risorse pubbliche da impiegare nei servizi della giustizia, con una politica miope che si ferma soltanto ad un probabile contenimento delle spese attraverso l’eliminazione di sedi giudiziarie nel territorio.
Non credo che queste ricette possano servire a molto, e tanto meno a soddisfare quel popolo, non di consumatori, ma di cittadini titolari di diritti, che da molti decenni aspettano di potersi rivolgere ad un servizio giustizia degno di un Paese civile e democratico, e non solo economicamente avanzato.
Temo che invece si voglia abbattere con l’Avvocatura il baluardo sul quale il singolo soggetto giuridico, economicamente debole, può ancora contare per non soccombere definitivamente.


Sappiamo tutti che – leggo dalle ottime pagine di un’indagine del CNF sul ruolo sociale dell’avvocatura – che la tutela degli interessi del cliente costituisce l’obiettivo prevalente dell’attività dell’avvocato, il quale resta tenuto in ogni caso al rispetto della legge, perché la ragion d’essere della professione forense riposa prima ancora che nella difesa di interessi di parte nel controllo della legalità con particolare riguardo alla difesa dei diritti ed alla moralità della società e del mercato.
E’ tempo allora di proposte e di confronti, ed auspico che questa conferenza possa dare il giusto segnale di un’Avvocatura unita nei principi e coesa nelle riforme da propugnare, mettendo da parte protagonismi ed antagonismi, sinora rivelatisi improduttivi di risultati positivi.
Non possiamo e non dobbiamo abbandonarci alla rassegnazione ed abbandonare all’economia il governo dei diritti e della giustizia.
Non mi addentrerò nei dettagli ed ascolterò con attenzione il dibattito e le conclusioni, dichiarando fin d’ora la disponibilità della Cassa a dare il massimo contributo possibile alle soluzioni che verranno prescelte.
Nell’attuale contesto non possono però essere trascurati i giusti interessi economici di una categoria professionale che forse più di ogni altra sta subendo le conseguenze della generale crisi finanziaria ed economica del Paese.
L’Avvocatura ha dato dimostrazione di volersi impegnare sul versante della qualità e responsabilità della prestazione professionale, che intendere continuare a svolgere con decoro e dignità, puntando alla formazione continua ed alla specializzazione, ma non può consentire lo smantellamento di un ambito di competenze tecniche – che presuppongono appunto studi giuridici e pratica forense, ignoti ad altre categorie – in nome di un’apertura indiscriminata al mercato e di un altrettanto incontrollato abbattimento dei compensi, a totale svilimento di un lavoro eminentemente intellettuale. La riforma delle tariffe forensi, cui certamente bisogna porre mano, non può prescindere dal riconoscimento dei c.d. minimi (non dimentichiamo che siamo stati condannati dalla Corte di giustizia europea per aver fissato i massimi tariffari).


E gli interessi dell’avvocatura sono assolutamente rilevanti anche sotto l’aspetto previdenziale, affidati alla cura della nostra Cassa Forense che ho l’onore di presiedere.
Ho già avuto modo di definire quello approvato con la nostra recente riforma del 2010 un sistema previdenziale virtuoso, fondato sul principio solidaristico.
Nell’esercizio della propria autonomia normativa e gestionale, sotto la vigilanza governativa, la Cassa ha già ispirato la sua azione riformatrice alle linee di tendenza proprie dei sistemi pensionistici avanzati, anticipando molte altre istituzioni, anche pubbliche. La recente riforma strutturale (secondo la definizione ministeriale), entrata in vigore nel 2010, infatti, si caratterizza principalmente per l’aumento a 70 anni dell’età pensionabile (a partire dal 2021), la riduzione percentuale del trattamento in caso di anticipazione fino a 65 anni, l’estensione del periodo di riferimento ad almeno 30 per il calcolo pensionistico, realizzando così un sistema equivalente o almeno molto prossimo a quello cosiddetto contributivo, l’inasprimento dei requisiti per la pensione di anzianità (ferma rimanendo la cancellazione dall’albo), l’introduzione della quota modulare di pensione (con contribuzione volontaria aggiuntiva fino al massimo del 9% del reddito pensionabile), ferma rimanendo la parità tra avvocati ed avvocate, queste ultime destinatarie di indennizzi per la maternità al pari di tutte le lavoratrici.
Questi interventi – accompagnati da un incremento contenuto della contribuzione soggettiva (fino al 14%) ed integrativa (fino al 4%) – hanno consentito il raggiungimento dell’obiettivo della sostenibilità finanziaria quarantennale (come da ultimo bilancio attuariale), oltre a quello della sufficiente solidità del sistema a garanzia dell’erogazione delle prestazioni dovute, corroborato da una corretta gestione patrimoniale e da un sensibile contenimento dei costi. Tali basi inducono quindi a programmare per la nostra categoria professionale un’ulteriore fase di interventi, vieppiù necessaria, per fronteggiare le emergenze reddituali ed il fabbisogno di perequazione intergenerazionale, nella prospettiva della maggiore adeguatezza delle prestazioni.


Va affrontato in primis lo sviluppo degli istituti di c.d. welfare, ponendo mano ad un nuovo regolamento dell’assistenza con possibilità di sostegno alle componenti più deboli, ed a forme più complete di tutela sanitaria.
In sostanza occorre rimodulare gli istituti caratteristici della solidarietà endocategoriale, che qualifica il nostro sistema di sicurezza sociale.
Abbiamo negli ultimi mesi adottato alcune misure utili per un riequilibrio generazione, del tipo aumento da 5 a 10 della rateizzazione del riscatto degli anni di laurea e praticantato ai fini pensionistici. Aumento da 5 % a 7 % del contributo soggettivo per i pensionati che continuano ad esercitare la professione e a produrre reddito.
Nella giornata di domani si svolgerà in questa conferenza un’apposita sessione su questi argomenti, che terrà in particolare conto la realtà della giovane avvocatura, che versa in difficoltà gravi.
Eppure in prospettiva ci giungono segnali di preoccupazione.
Posso soltanto anticiparvi alcuni dati che ci fotografano questa realtà, desumibile dai mod. 5 che sono pervenuti finora: il 37,5% degli avvocati iscritti alla Cassa dichiara un reddito IRPEF non superiore a 10.000 euro; percentuale che sale a circa il 50% del totale iscritti e non iscritti Cassa (dunque circa 100.000 avvocati). Le avvocate hanno un reddito inferiore alla metà degli avvocati. Il reddito medio è pari a 47.822 euro, negli ultimi tre anni è progressivamente diminuito fino al 7% circa ed è inferiore a quello del 1991 (rivalutato). Idem per il volume di affari.
Soltanto l’11% ha un reddito superiore al tetto pensionabile di 86.700 euro, pur rappresentando oltre il 50% del reddito complessivo.
Per la sostenibilità finanziaria del sistema occorrerà probabilmente effettuare altri interventi ed il Ministero del Lavoro ci ha chiesto un aumento del contributo soggettivo oggi al 14%.


Ma tutto quanto potremo fare sarà utile soltanto se si porrà mano all’iniqua tassazione oggi a carico dei fondi previdenziali, ancora oggi soggetta alla c.d. doppia tassazione delle proprie rendite e dei trattamenti pensionistici, che va a scapito dell’adeguatezza delle prestazioni. Non dimentichiamo che invece nella recente manovra di luglio la tassazione su alcune rendite finanziarie delle casse previdenziali sono state aumentate dal 12,5% al 20% (a differenza degli enti di previdenza complementare).
Ulteriori e gravissime ripercussioni sulla sostenibilità finanziaria provengono dunque dall’abbassamento del monte reddituale degli avvocati e proverranno certamente dall’apertura alle società professionali di capitale.
Per ovviare a questi pericoli abbiamo rivolto, con tutte le casse riunite nell’AdEPP, un invito al nuovo Governo a non introdurre frettolose novità normative nel complesso settore previdenziale, ma ad aprire tali di confronto costruttivo per il raggiungimento dello scopo che ci accomuna, poter assicurare alla nostra professione un dignitoso percorso di crescita ed un sereno futuro previdenziale.
Buon lavoro a tutti.

Alberto Bagnoli

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