Il "doppio binario" della Cassazione civile

di Patrizia Corona

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Le nuove previsioni riguardanti il procedimento e i provvedimenti  avanti la Corte di Cassazione si applicheranno a tutti i ricorsi depositati dopo il 30 ottobre 2016  nonché a quelli già depositati alla medesima data per i quali non sia stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
L’intervento normativo incide in modo radicale sul rito civile avanti la Suprema Corte che diviene di regola camerale per tutti i ricorsi avanti la sezione semplice salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare”.
Riti quindi diversificati in funzione del contenuto del ricorso e dell’interesse di carattere generale e pubblico della relativa pronuncia.Un primo dubbio interpretativo attiene all’identificazione del soggetto a cui spetta la valutazione del particolare rilievo delle questioni sottoposte alla valutazione della Corte e quindi della possibile valenza di indirizzo giurisprudenziale del relativo decisum.
Nel lacunoso silenzio della norma le prime indicazioni pratiche sono contenute nel protocollo sottoscritto in data 16 dicembre 2016 dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, dal Presidente del CNF e dall’Avvocato Generale dello Stato ove “si conviene che le parti possano richiedere motivatamente, nella memoria a norma dell’art. 380 bis 1 cpc o con apposita istanza, che la trattazione avvenga in pubblica udienza indicando la questione di diritto di particolare rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione pubblica”.


Il protocollo quindi e non la Legge riconosce alla parte la facoltà di motivare una richiesta di discussione in pubblica udienza, che può tuttavia essere disattesa ( da chi? dal Presidente? dal relatore? ) non potendosi configurare come un diritto.
Pari interrogativi nell’ipotesi che il rito “ordinario” sia disposto d’ufficio all’esito di un esame sommario degli atti e di una scelta per la quale non sono dettati criteri precisi.
Se è poi vero che la prassi sino ad oggi in uso ha relegato la discussione orale, nella quasi totalità dei procedimenti,  a mera formalità in cui gli avvocati semplicemente si richiamano agli scritti depositati, si deve necessariamente concludere che non sia l’eliminazione dell’udienza pubblica  ciò che consentirà , nelle intenzioni dichiarate del Legislatore, una più celere definizione del giudizio  e lo smaltimento dell’arretrato, bensì l’atto formale conclusivo del procedimento che ordinariamente sarà, d’ora in poi, una ordinanza decisoria e raramente una sentenza.
Con tutto quanto consegue sotto il profilo dell’obbligo motivazionale.
Tale conclusione induce a due riflessioni critiche.
La prima riguarda l’inutilità del totale sacrificio dell’oralità nel rito camerale quale compromissione del diritto di difesa.
Prima della L.  197/2016 il rito camerale era disciplinato nell’art. 380 bis cpc unicamente avanti la sezione c.d. filtro (VI sezione) nelle ipotesi di ravvisata sussistenza da parte del relatore di una delle ipotesi contemplate nell’art. 375 cpc di inammissibilità o manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso  con facoltà per la difesa non solo di depositare memorie all’esito della conoscenza della ragioni del relatore, ma anche di comparire all’udienza ed essere sentita ( il c.d. rito camerale partecipato).  La nuova formulazione dell’art. 380 bis cpc  cancella tale facoltà e ciò seppur l’effettività della difesa in tale ipotesi venga meno a seguito dalla non conoscenza delle ragioni ravvisate dal relatore per pervenire alla decisione di inammissibilità o manifesta infondatezza. La norma non contempla infatti più il deposito della relazione del relatore e la notificazione della stessa alle parti.
Anche su tale aspetto il protocollo siglato dal Consiglio Nazionale Forense cerca di attenuare gli effetti negativi della riforma per la difesa del ricorrente con previsione di una “proposta” ( non più relazione) del relatore da notificarsi in una con l’avviso di fissazione dell’udienza camerale.


Analogamente per il rito camerale avanti alla sezione semplice il nuovo art. 380 bis 1  precisa:  “In camera di consiglio la Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti”.
In tal caso opera una sorta di “presunzione assoluta” di inutilità della discussione orale trattandosi di questione di diritto considerata rilevante “solo” per i litiganti.
Conclusivamente sul punto: proprio perché sino ad oggi la discussione orale avanti la VI sezione e avanti le sezioni semplici, non ha mai costituito motivo di rallentamento del procedimento in quanto richiesta dagli avvocati nei  casi ritenuti meritevoli di miglior argomentazione e persuasione della Corte, non si comprende davvero perché escludere tale facoltà, su istanza della parte, nel nuovo procedimento camerale a garanzia di completezza nella esposizione e trattazione dei motivi che, seppur a “rilevanza privata” ben possono essere connotati da particolare complessità.
Oltre al fatto che ben potrebbe accadere che questioni delibate come “non  di rilevante importanza” tali non si rivelino ad un più attento esame.
La seconda riflessione riguarda invece la vera natura “epocale” di questa riforma che, rimodellando il meccanismo decisionale sul doppio binario, vedrà, nella maggioranza dei casi, pronunce della SC nella forma dell’ordinanza “succintamente motivata” ai sensi dell’art. 134 cpc.
Non è difficile prevedere che tale nuovo corso consoliderà l’utilizzo di formule motivazionali di semplice richiamo ai precedenti giurisprudenziali senza necessità di ulteriore argomentazione sulle ragioni a sostegno del principio di diritto applicato.
Indubitabilmente il lavoro dei Giudici sarà così semplificato e dovrebbe aumentare proporzionalmente la loro produttività.
E’ una direzione questa da tempo imboccata, non solo nel settore civile, dal Legislatore che vede nell’onere motivazionale  del Giudice una delle cause delle lungaggini processuali e un “lusso” che il sistema non può più permettersi.
Certamente accedere a tale prospettiva impone un radicale cambio di mentalità anche per gli avvocati. Confesso che personalmente mi è ancora cara l’idea di una sentenza che  non esaurisce mai la sua funzione nel solo ambito delle parti e che sia rappresentativa dell’iter logico-argomentativo seguito per giungere alla decisione. Ma su questo molto altro vi sarebbe da dire.

Avv. Patrizia Corona - Presidente Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati

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