Dipendenti pubblici: dallo ius postulandi alle tariffe forensi

di Leonardo Carbone

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La “estensione” dello ius postulandi a soggetti non iscritti - né iscrivibili – nell'albo professionale, ed il riconoscimento di compensi professionali a soggetti non avvocati, si va sempre più “estendendo”; l’Avvocatura, nonostante il numero elevato di iscritti negli albi (quasi 250.000), e le lamentele continue sui redditi professionali sempre più “bassi”, nulla dice su tale “deriva”.

Sono purtroppo sempre più frequenti gli interventi del legislatore – sempre nel silenzio dell’Avvocatura - che riconoscono sia lo ius postulandi ai funzionari delle pubbliche amministrazioni che difendono in giudizio la propria amministrazione, sia il diritto al compenso professionale, secondo le tariffe forensi pur non rivestendo il funzionario pubblico la qualifica di avvocato.

Ed infatti, in ordine alla rappresentanza giudiziale della PA da parte di propri funzionari:

  • l’art. 23, comma 4, della l. n. 689/81 – ora abrogato – prevede che, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, l’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato possa avvalersi di funzionari appositamente delegati;
  • l’art.12, d.lgs. n.546/92 ammette che l’ufficio del Ministero delle finanze possa farsi assistere nel processo tributario da funzionari dell’amministrazione;
  • l’art. 10, comma 6, d.l. n.203/2005, conv. in l. n.248/2005 oggetto di successive modifiche, statuisce che nei procedimenti giurisdizionali in materia di accertamento tecnico preventivo, l’Inps, con esclusione del giudizio di cassazione, è rappresentato e difeso direttamente da propri dipendenti;
  • l’art.417 bis cpc prevede che, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, limitatamente al giudizio di primo grado, le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti.

Nella prima fase di “estensione” dello ius postulandi, stante l’assenza di una specifica disciplina, all'amministrazione vittoriosa difesa da propri funzionari, era stata affermata (fra le tante, Cass. 20.11.2013 n.26855; 25.5.2011 n.11816) la non spettanza dei diritti ed onorari di avvocato, difettando tale qualifica in capo al funzionario, ma solo il rimborso delle spese vive, da indicarsi in apposita nota.

E la stessa Corte costituzionale (n.117 del 1999) aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 13 l.n.689/81 e 91 cpc, nella parte in cui non consentiva la liquidazione delle spese di lite in favore dell'amministrazione vittoriosa difesa da propri funzionari.

In ordine ai compensi professionali dell’avvocato (e di cui al dm n.55 del 2014 e dm 8.3.2018 n.37) riconosciuti a dipendenti della pubblica amministrazione privi della “qualità” di avvocato, la legge di stabilità 2012, e in particolare l’art. 4, comma 42, Legge 12 novembre 2011, n. 183, titolato “Liquidazione di spese processuali”, che ha introdotto l’art. 152 bis disp.att.cpc, prevede che “Nelle liquidazioni delle spese di cui all’art. 91 del codice di procedura civile a favore delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30.3.2011 n. 165, e successive modificazioni, se assistite da propri dipendenti ai sensi dell’art. 417-bis del codice di procedura civile, si applica la tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del 20 per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo ai sensi del d.P.R. 29.9.1973, n. 600”.

La giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. 9.4.2019 n.9878) ha “esteso” l’applicabilità del citato art. 152 bis disp. att. cpc anche alle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità in cui vi sia difesa diretta dell’Inps da parte di propri funzionari, controversie in cui sono coinvolti soggetti “deboli” del nostro ordinamento, nei cui confronti vi è stata in questi ultimi tempi una scarsa attenzione da parte del legislatore.

Da quanto sopra consegue che, nel caso in cui la Pubblica amministrazione ritiene di stare in giudizio avvalendosi dei propri dipendenti (in ciò “autorizzata” dall’art. 417 bis c.p.c., che prevede tale facoltà per le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti e limitatamente al giudizio di primo grado), il giudice, nel liquidare le spese di causa a favore della Pubblica amministrazione, deve fare riferimento a quanto prevede il decreto sui parametri, con una riduzione del 20% degli onorari di avvocato.

La stessa norma consente alla medesima Pubblica amministrazione di avvalersi, per la riscossione della somma liquidata in sentenza, della riscossione tramite iscrizione a ruolo, “equiparando” di fatto il credito per spese legali al credito tributario, “privilegio” non certo riconosciuto al “povero” avvocato per il recupero del suo credito professionale.

La “cosa strana” è che, con l’art. 4, comma 42, Legge n. 183/2011, si fa espresso riferimento alla tariffa forense per l’attribuzione alla pubblica amministrazione dei compensi professionali al funzionario dell’ente (e non dell’avvocato dell’ente !!!!), attribuendo così alla Pubblica amministrazione un illecito arricchimento, in quanto il compenso spettante sulla base della tariffa forense (ed ora dei parametri) è certamente superiore alla spesa sostenuta dalla Pubblica amministrazione in giudizio: in pratica viene così incentivata la Pubblica amministrazione ad agire in giudizio.

Attesa la segnalata deriva, la problematica dovrebbe essere oggetto di “rimeditazione” da parte del legislatore, soprattutto in considerazione del fatto che la Pubblica Amministrazione può dotarsi, sussistendone le condizioni, di un proprio ufficio legale con avvocati iscritti nell'elenco speciale, ai quali spetta la liquidazione del compenso professionale, essendosi in presenza di avvocati titolari dello ius postulandi.

Avv. Leonardo Carbone – Direttore Responsabile CFnews.it 

 


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