LE FEMMINE NON DEVONO IMMISCHIARSI NELL’ AVVOCHERIA

di Franco Smania

Stampa la pagina
foto

In occasione della Giornata internazionale della donna che si celebra l’8 marzo, merita di essere ricordata Lidia Poët, prima donna avvocata d’Italia, figura di primissimo piano nella storia dell’emancipazione femminile italiana e non solo.

Era nata nel 1855 in una benestante e colta famiglia piemontese, che non ha mai posto ostacoli alla sua scelta, all’epoca scandalosa per i più, di studiare giurisprudenza per diventare avvocata.

La madre rimase vedova quando Lidia era una ragazza di 17 anni e, a dispetto della mentalità dell’epoca che voleva la donna destinata alla consueta e tradizionale cura della casa e della prole, garantì alla figlia le stesse opportunità dei suoi fratelli.

Conseguito il diploma di maestra e superato l’esame di licenza liceale, Lidia si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza di Torino, laureandosi a pieni voti nel 1881 con una tesi dal titolo: “Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale ed al diritto amministrativo nelle elezioni”.

Svolto il praticantato presso uno studio legale di Pinerolo, superò in modo brillante l’esame di abilitazione alla professione forense e chiese quindi l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino.

Era la prima volta nella storia del Regno d’Italia che una donna osava chiedere l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e la cosa fu giudicata da molti una vergogna.

La richiesta venne ferocemente osteggiata da alcuni consiglieri, che si dimisero per protesta quando l’Ordine di Torino, con una storica decisione assunta a maggioranza, accolse la domanda, valutando non solo i titoli ma anche lo stato civile della Poët che, da nubile, non soggiaceva all’autorità maritale, istituto all’epoca vigente, che impediva alle donne sposate di compiere atti giuridici senza il consenso del marito e rilevando che “a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini.”

Il 9 agosto 1883 Lidia Poët divenne quindi la prima donna ammessa all’esercizio dell’avvocatura.

Il provvedimento dell’Ordine di Torino, peraltro, destò grande scalpore e provocò aspre censure in Italia e all’estero, tanto che il Procuratore Generale del Regno impugnò l’iscrizione della Poët avanti alla Corte d’Appello di Torino.

Nel revocare l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori, la Corte -tra l’altro- osservò:

La questione sta tutta in vedere se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (…). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine (…).

Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste.

Considerato che dopo il fin qui detto non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorata un’avvocatessa leggiadra (…).

Non è questo il momento, né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, di esaminare se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sicché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gli uffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Di ciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occuparsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate”.

Il 28 novembre Lidia Poët presentò ricorso alla Corte di Cassazione , che con sentenza del 18 aprile 1884, confermò la decisione della Corte d'Appello di Torino, dichiarando che “La donna non può esercitare l’avvocatura”.

La cancellazione accese un forte dibattito anche all’estero ed ebbe un lungo seguito.

Lidia Poët, peraltro, non poté esercitare a pieno titolo la sua professione, ma collaborò nello studio legale del fratello Giovanni Enrico.

Pur non esercitando la professione direttamente, continuò a lottare per sostenere gli ideali in cui credeva: il voto e i diritti delle donne, la difesa delle persone più deboli, degli emarginati, dei minori, il recupero dei detenuti, mostrando di avere idee di straordinaria originalità ed attualità.

Partecipò ai Congressi Penitenziari Internazionali, ricoprendo ruoli di rilievo e occupandosi dei diritti dei detenuti e dei minori, promuovendo l’istituzione dei Tribunali dei minori e affrontando il tema della riabilitazione dei detenuti attraverso l’educazione e il lavoro.

Al termine del conflitto mondiale la Legge n. 1179/1919, abolì l'autorizzazione maritale e autorizzò le donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella magistratura, nella politica e in tutti i ruoli militari. All’articolo 7, la legge consentiva finalmente alle donne di esercitare la professione di avvocato.

Dopo aver praticato per anni la professione forense all’ombra del fratello Giovanni Enrico, nel 1920 Lidia Poët, all'età di 65 anni, entrò quindi finalmente a pieno titolo nell'Ordine degli Avvocati, divenendo ufficialmente la prima donna d'Italia ad esservi ammessa.

Morì all'età di 93 anni il 25 febbraio 1949.

 


Altri in AVVOCATURA

Potrebbe interessarti anche

  • L'8 MARZO OGNI GIORNO PER COLMARE IL GENDER GAP

    Ci sono date importanti, e sicuramente l'8 marzo, la Giornata internazionale della donna, è una di queste: celebra tanto le conquiste economiche e sociali delle donne, quanto le discriminazioni e le violenze di cui sono tuttora oggetto

    Giancarlo Renzetti