PENSIONE DI REVERSIBILITÀ E REDDITI PROPRI: L’INPS TAGLIA

di Leonardo Carbone

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Per la pensione dell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’Inps, nel caso in cui il beneficiario della pensione abbia ulteriori redditi, si applicano tagli sull’assegno pensionistico spettante al superstite.

E su tali tagli è intervenuta   la Corte costituzionale che, con sentenza del 30.6.2022 n.162,  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto del terzo e quarto periodo dell’art.1, comma 41, della legge 8 agosto 1995 n.335, e della connessa tabella F, nella parte in cui, in caso di cumulo tra il trattamento pensionistico ai superstiti e i redditi aggiuntivi del beneficiario, non prevede che la decurtazione effettiva della pensione non possa essere operata in misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi.

La pensione di reversibilità, quindi, non può essere decurtata, in caso di cumulo con ulteriori redditi del beneficiario, di un importo che superi l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi.

Per la Corte, la formulazione del censurato art.1, comma 41, della l.n.335/1995 deve essere integrata – al fine di ricondurla a ragionevolezza, onde evitare la possibilità che le decurtazioni della pensione superino l’ammontare dei redditi goduti dal beneficiario – mediante la previsione del limite della concorrenza dei redditi: in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.

E ciò in quanto la pensione ai superstiti costituisce una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.

La ratio dei trattamenti di reversibilità consiste nel fare proseguire, anche dopo la morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, della protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto: il legame familiare, anziché favorire il superstite, non può però nuocergli, privandolo di una somma che travalica i propri redditi personali.

Occorre ricordare come la Corte con la citata sentenza n.162/2022, conferma la legittimità di una disciplina anticumulo  tra pensione e redditi di lavoro, rilevando, però, che la sussistenza di altre fonti di reddito può ben giustificare una diminuzione del trattamento pensionistico, in quanto la funzione previdenziale della pensione  non si esplica, o almeno viene notevolmente ridotta, quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di un trattamento di attività (sentenza n.241 del 2016).

Il legislatore, attraverso le norme che stabiliscono i limiti di cumulabilità tra pensione e reddito, tiene conto della diminuzione dello stato di bisogno del pensionato, che deriva dalla disponibilità di un reddito aggiuntivo, e, nell’esercizio della sua discrezionalità, è chiamato a bilanciare i diversi valori coinvolti modulando la concreta disciplina del cumulo, in necessaria armonia con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza”.

Ragionevolezza, che per la Corte, non sussiste laddove la regolamentazione del cumulo tra la prestazione previdenziale e i redditi aggiuntivi del suo titolare, comporti  una diminuzione del trattamento pensionistico, come si è verificato nella fattispecie esaminata dalla Corte (la titolare di una pensione di reversibilità che si era vista decurtare il trattamento pensionistico di una somma superiore all’importo  di redditi aggiuntivi percepiti).


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