Un grande passo per l’umanità carceraria

di Lorena Puccetti

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La mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio.

La Corte costituzionale, il 23 ottobre 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, primo comma, della Legge sull'ordinamento penitenziario (L. n. 354/1975), nella parte in cui impedisce che siano concessi i permessi premio ai condannati che non collaborino con la giustizia, anche se abbiano fornito prova di partecipazione al percorso rieducativo e siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità della partecipazione all’associazione criminosa.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo, in data 8 ottobre 2019, aveva già affermato che l’ergastolo, ove non sia contemplata una concreta possibilità di riduzione della pena decorso un certo periodo di detenzione, deve ritenersi contrario al principio della dignità umana. Pertanto, la sentenza aveva espresso perplessità sulla normativa italiana in materia di c.d. ergastolo ostativo, ovvero il particolare regime previsto dalla predetta norma. 

Tale regime impedisce ai condannati per i gravi delitti indicati all’art. 4 bis, co. 1 della L. 354/1975 e che non collaborino con la giustizia, di accedere a una serie di benefici penitenziari quali il lavoro all'esterno, i permessi premio, le misure alternative alla detenzione e la liberazione condizionale.

All'esito di tale pronuncia, sembrava quasi scontato che la Corte Costituzionale dichiarasse l’illegittimità di tale normativa ma, in realtà, la pronuncia della Corte non appare del tutto sovrapponibile a quella della Corte europea. 

I giudici di Strasburgo, infatti, hanno preso in considerazione la norma sotto un profilo specifico, ovvero che l’ergastolo ostativo, precludendo l’accesso alla liberazione condizionale, esclude a priori il detenuto non collaborante dalla possibilità di ottenere la riduzione della pena. In buona sostanza, la Corte europea ha ritenuto che la carcerazione perpetua appare lesiva dei principi sanciti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo ed in particolare dell’art. 3.

La Corte costituzionale si è invece occupata di una questione diversa e, precisamente, la legittimità della  normativa nella parte in cui impedisce all'ergastolano non collaborante di ottenere un permesso premio pur avendo egli dato prova di partecipazione al percorso rieducativo. Dal comunicato stampa dell’Ufficio della Corte si apprende che la norma è da ritenersi illegittima perché contempla una presunzione assoluta in base alla quale il detenuto che non collabora con la giustizia deve ritenersi ancora collegato all’associazione criminale. 

Invece, dice la Corte Costituzionale, deve essere il Magistrato di sorveglianza a valutare se, nel caso concreto, l’assenza di collaborazione sia dovuta a ragioni che non inficiano il giudizio positivo sul percorso penitenziario compiuto da detenuto e sul suo definitivo distacco dalla sfera criminale. In altri termini, la presunzione di pericolosità sociale che sta alla base del regime ostativo di cui all’art. 4-bis, co. 1 delle Legge sull'ordinamento penitenziario deve essere intesa come relativa e non assoluta.    

Dichiarando l’illegittimità di questa disposizione, dunque, la Corte Costituzionale ha sottratto alla generale applicazione del meccanismo “ostativo” soltanto la concessione del permesso premio.

E’ peraltro evidente che le considerazioni sottese a tale decisione mantengono la loro valenza anche riguardo agli benefici penitenziari attualmente preclusi ai detenuti in regime di ergastolo ostativo. E’ soltanto questione di tempo. Nel futuro, non potranno che essere accolte le questioni di legittimità costituzionale a proposito dei divieti assoluti, per gli ergastolani non collaboranti, di ottenere benefici premiali anche a fronte di una condotta carceraria ineccepibile e di relazioni positive che escludono l’attuale pericolosità sociale del richiedente.

Con tale decisione, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che ogni pena, anche l’ergastolo per i più gravi reati, deve avere sempre una finalità rieducativa. Al contrario, negare al recluso qualsiasi possibilità di ottenere quei benefici premiali che lo possono ricondurre, anche solo per un giorno, fuori dal carcere, ingenera frustrazione e mortifica ogni volontà di riscatto.

In conclusione se davvero esiste un diritto, costituzionalmente garantito, a espiare la pena in vista di una riabilitazione personale e sociale, i benefici premiali non possono essere aprioristicamente esclusi, salvo che il detenuto si mostri ancora  concretamente pericoloso. 

Diversamente opinando si dovrebbe avere il coraggio di ammettere che per gli ergastolani soggetti al regime ostativo ancora risuona, dai tempi medievali, il monito del Poeta: “Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”.              

 Avv. Lorena Puccetti - Foro di Vicenza


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