Regime forfettario 2019: l’impatto sugli studi associati e il contrasto con la libera concorrenza e i principi di equità fiscale

di Avv. Roberto Renzella

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L'art. 1 della L. 23 dicembre 2014, n. 190, a seguito della modifica in ultimo introdotta con la Legge di Bilancio 2019 (art. 1 comma 9 della L. 145/2019), stabilisce ora che: “I contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni applicano il regime forfettario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo, se nell'anno precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000”.

Il nuovo disposto, se di indubbio vantaggio per le persone fisiche singole, cui è riservato, va a discapito delle società tra professionisti e finisce, quindi, con lo scoraggiare ogni forma di aggregazione e associazione professionale tra liberi professionisti ai quali, per beneficiare delle agevolazioni riservate sino al tetto dei 65.000,00 euro, conviene esercitare la professione in forma individuale piuttosto che aggregarsi in una delle società previste dal nostro ordinamento, che non riceverebbe gli stessi vantaggi.

Ciò, per quanto riguarda gli avvocati, in controtendenza rispetto agli sforzi effettuati dall’Avvocatura istituzionale ed associativa nell’ultimo ventennio, per passare da un sistema tradizionale, basato sulla figura del mono avvocato, ad un sistema più moderno ed al passo coi tempi.

Il tutto, poi, in stridente contrasto con altre iniziative del legislatore che, in relazione alle novità introdotte dai mercati aperti, dalla globalizzazione e dalle disposizioni comunitarie, negli ultimi anni ha favorito e incentivato il sorgere di nuove forme di aggregazione in campo professionale, valorizzando i concetti di multidisciplinarietà e specializzazione essenziali per il futuro del paese.

Il disposto viola, poi, i principi basilari di equità fiscale e della libera concorrenza: è infatti evidente la disparità di trattamento, in termini di aliquota IRPEF, tra gli aderenti al regime ordinario e forfettario, così come l’alterazione della concorrenza tra colleghi, laddove i detentori di partita IVA forfettaria non sono tenuti ad imporre l’IVA sulle fatture al proprio committente, che tra l’altro non è sostituto d’imposta ai fini della ritenuta d’acconto, al contrario dei colleghi che opereranno fuori da tale regime.

I secondi dovranno esporre un costo nelle proprie fatture (pari al 22% di IVA) decurtando la ritenuta d’acconto IRPEF (al 20%), che sarà versata dal cliente sostituto d’imposta, scontrandosi con un’ingiusta concorrenza.

I committenti non titolari di partita IVA, quali ad esempio tutte le PP.AA., troveranno dunque “conveniente” rivolgersi a un professionista in regime forfetario, il che inquina alla radice il concetto stesso di libera concorrenza fra esercenti la medesima professione. Il disposto inoltre, garantendo un monte deduzioni per costi forfettario pari al 22% del fatturato, disincentiva la richiesta di fatturazione di costi e la fatturazione stessa dei compensi in prossimità della “soglia”, con evidenti ripercussioni anche in tema di gettito previdenziale.

Il nuovo regime forfetario, quindi, se da un lato si tradurrà in un indiscutibile vantaggio per il singolo libero professionista che si avvarrà del nuovo regime, dall’altro presenta criticità d’indubbia rilevanza per le intere categorie professionali cui i singoli beneficiari appartengono.

Se si osservano i redditi medi dei liberi professionisti e, più in generale, dei lavoratori autonomi italiani, la nuova “soglia” del regime forfetario riguarderà la stragrande maggioranza e non più una sparuta minoranza di contribuenti e, con lo sguardo rivolto ai giovani ed al futuro, quanti neo avvocati saranno disposti a rinunciare a cuor leggero al “beneficio fiscale” per intraprendere la professione in forma societaria o in associazione?

Avv. Roberto Renzella – Delegato Cassa Forense


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